Prof arrestato a Torino per molestie, le regole di 11 allieve per evitare gli abusi. «Mai da sola in ufficio e non stargli vicino»

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Non volevano rinunciare alla specializzazione, ma continuare a frequentare la scuola di Medicina legale diventava ogni giorno più difficile e spiacevole. 

Sguardi lascivi, mani che si allungavano a cingere i fianchi o indugiavano su quelle «parti del corpo lasciate scoperte dal camice» che le studentesse speravano fosse uno scudo. «Temevo mi rovinasse la carriera, era il mio professore», racconta un’ex allieva. «Ho cominciato a prendere psicofarmaci per superare quel periodo», ammette un’altra ragazza». «Cercavo di non rimanere da sola con lui», dice una terza, spiegando come si difendeva.

L’inchiesta

Non ci sono state querele contro il professore Giancarlo Di Vella, responsabile del corso di specializzazione dell’Università di Torino finito agli arresti domiciliari. Ma cinque sue allieve — secondo la Procura di Torino — avrebbero subito le presunte attenzioni morbose del docente. A queste se ne aggiungono altre sei che, per paura di trovarsi a loro volta in circostanze sgradevoli, avrebbero stravolto la loro quotidianità. 

L’accusa di stalking

Undici donne che, giorno dopo giorno, avrebbero affinato piccoli stratagemmi ed escamotage per non finire nelle «mire» del loro docente. «La sera cercavo di non trattenermi in istituto, come facevo prima», spiega una delle allieve. «Chiedevo a un amico di accompagnarmi quando dovevo andare nel suo ufficio», rivela un’altra. E c’è chi prestava attenzione a «non camminargli davanti», perché in alcune circostanze il prof, durante le autopsie si sarebbe appoggiato su di loro, cingendo i fianchi. Comportamenti che devono essere ancora accertati, ma che hanno fatto scattare l’accusa di stalking.

Nei corridoi dell’istituto le voci di presunte molestie si erano fatte insistenti, non solo tra gli studenti: anche qualche professore avrebbe raccolto confidenze. E così, quando i carabinieri del Nas di Torino hanno iniziato a indagare perché non quadravano i conti delle autopsie svolte, hanno raccolto anche i mormorii di chi sapeva e fino a quel momento aveva taciuto.

Gli altri reati

Non subito, però. Molti testimoni sono stati risentiti più volte dagli investigatori. Ma alla fine il velo di silenzio è stato squarciato. E ora dalle affermazioni delle ex specializzande emerge il clima di paura e disagio che si respirava nell’istituto. La narrazione delle lezioni diventa così il racconto di complimenti inopportuni: «Quanto è fortunato il tuo fidanzato». E ancora «Che bella biancheria che indossi». Le dottoresse specializzande avrebbero riferito anche di palpeggiamenti sgraditi, baci rubati e contatti ambigui durante le autopsie.

Episodi che sono il canovaccio delle accuse che vengono contestate al docente, che ora si trova agli arresti domiciliari per una raffica di reati che vanno dal falso — per aver registrato un numero di autopsie maggiore rispetto a quello reale — allo stalking, dalla violenza sessuale alle minacce. Il professore si difende, nega e, attraverso il proprio legale Marino Careglio, si dice «amareggiato» e convinto «di poter dimostrare la propria innocenza».
Dai racconti degli allievi, invece, emergerebbero le minacce per chi non gradiva il suo modo di gestire l’istituto. «Mi ha detto che mi avrebbe rovinato la carriera», «mi disattivò le chiavi per accedere alla scuola», sono gli sfoghi di alcuni ragazzi. Tutta colpa dei questionari di valutazione dei corsi. Erano anonimi, ma secondo le testimonianze, Di Vella si era convinto di aver individuato i «detrattori».

Di Vella ha continuato a insegnare all’Università anche dopo l’avvio dell’inchiesta e lunedì avrebbe dovuto fare parte della commissione di laurea in Giurisprudenza. Ma difficilmente sarà al Campus Einaudi.

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