cosa conviene fare adesso?- Corriere.it

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Più che a un effetto Moody’s, la compressione dello spread Btp-Bund verso i valori precedenti l’impennata dell’ottobre scorso — adesso il differenziale di rendimento oscilla intorno ai 174 punti — è dovuta al calo dell’inflazione nell’eurozona e allontanarsi delle pressioni per un ulteriore aumento dei tassi di interesse sia in Europa che negli Stati Uniti. Diminuzione dello spread e raffreddamento della febbre del reddito fisso a causa di un attenuarsi dell’allarme inflazione — nell’arco di meno di 4 settimane — hanno modificato lo scenario di investimento sul reddito fisso italiano. Da rendimenti del decennale che puntavano (e per brevi momenti avevano raggiunto), la soglia del 5%, siamo passati a uno scenario in cui il prossimo obiettivo sembra piuttosto quello di un rendimento del 4%. Nella giornata del 22 novembre, lo spread Btp-Bund ha oscillato intorno a 174 punti e il rendimento del decennale è sceso al 4,3%. La diminuzione del rendimento da inizio novembre è di oltre mezzo punto, i risparmiatori che hanno investito sui massimi o in prossimità dei massimi di rendimento al 5% hanno realizzato un guadagno in conto capitale del 3-4%. Di tanto infatti si sono rivalutate le quotazioni dei bond decennali italiani, che per un effetto matematico guadagnano circa il 7% in valore capitale per ogni diminuzione di un punto percentuale dei tassi di riferimento di mercato (viceversa c’è una perdita di analogo ammontare per i titoli già emessi per ogni punto percentuale di aumento dei tassi di mercato).

L’effetto spread: 25-30 centesimi

In questa diminuzione dei rendimenti di circa 80-90 centesimi un peso di rilievo ce l’ha il calo dello spread Btp-Bund. Vediamone la dinamica. Il primo di settembre scorso lo spread Btp-Bund veleggiava sui minimi dell’anno a quota 163 punti. Da quel momento e fino al 9 ottobre scorso l’aumento del differenziale di rendimento è stato pressoché ininterrotto fino a raggiungere un massimo di quasi 208 punti. Ma dal 10 ottobre in avanti, quindi nelle ultimi 5 settimane, sebbene a fasi alterne, la tendenza è stata verso la diminuzione. Quando venerdì 17 ottobre Moody’s ha emesso il suo giudizio sul debito italiano confermando il rating Baa3 (con prospettiva stabile), lo spread era già sceso a 176 punti. Dai massimi di un rendimento al 5% si potevano già togliere 30 centesimi dovuti al calo dello spread, che altro non è che l’extrarendimento del Btp a 10 anni rispetto al Bund di pari durata.

L’effetto della diminuzione globale dei rendimenti dei bond

Ma in queste ultime settimane una tendenza ancora più rilevante si è imposta sui mercati globali del reddito fisso: quella al calo «assoluto» dei rendimenti pagati dalle emissioni governative. Prendiamo il caso degli Stati Uniti. Dopo mesi di rialzo costante, il rendimento dei Tresury a dieci anni del Tesoro statunitense sono passati dal 3,79% del 3 gennaio scorso al 5% esatto del 19 ottobre. Analogamente i titoli a 30 anni sono passati da un rendimento del 3,88% di inizio gennaio al 5,11% del 19 ottobre. Da quella data al 22 novembre i rendimenti sui titoli statunitensi si sono rapidamente sgonfiati: il decennale è passato dal 5% al 4,44% di oggi e il bond a 30 anni dal 5,11% al 4,57% odierno. Per entrambe le emissioni il calo dei rendimenti è stato superiore a 50 centesimi. Rimangono invece molto elevati i tassi sui titoli Usa”corti”, a scadenza 1-3-6-12 mesi, tutti prossimi al 5,5%. Questo fenomeno — detto inversione della curva dei rendimenti — fa ipotizzare che non sia imminente una diminuzione dei tassi di interesse da parte della Fed entro i prossimi 6-12 mesi. Ma che su di un orizzonte più lungo i tassi scenderanno. Ed è proprio questa aspettativa per una riduzione di tassi a partire dalla seconda metà — o dalla fine — del 2024, che ha fatto scendere di mezzo punto i tassi Usa. E con loro i rendimenti delle emissioni governative a 10 anni di quasi tutti i Paesi sviluppati dell’Ocse, tra cui l’Italia si sono ridotti di circa 50 centesimi. Ecco dunque spiegato il calo di circa 70 centesimi del rendimento dei Btp italiani. Venti centesimi sono dovuti alla riduzione dello spread, gli altri 50, grosso modo, al calo di 50 centesimi che ha interessato i rendimenti di quasi tutti i bond a 10 anni emessi dai Paesi del G7, le economie avanzate del pianeta.

Btp, adesso cosa fare?

A questo punto è probabile che nei prossimi mesi i rendimenti tenderanno a rimanere abbastanza stabili su questi nuovi livelli, a meno di choc esterni come guerre, o strozzature nei rifornimenti energetici. Per quanto riguarda l’Italia non ci sono nuovi esami all’orizzonte e i prossimi giudizi sulla legge di bilancio da parte della Commissione europea, che, se negativi, potrebbero dare una scossa rialzista ai rendimenti (con perdite sui titoli già emessi) arriveranno non prima della primavera prossima. Quanto a un calo dei tassi, negli Usa o in Europa, le rispettive banche centrali — la Bce e la Fed — sono molto prudenti e giudicano la battaglia contro l’inflazione — con il raggiungimento di un tasso di crescita dei prezzi al 2% — non ancora vinta. Mantenere le posizioni in Btp a medio lungo termine sembra dunque la opzione più corretta. Tanto più che con il calo dell’inflazione verso l’obiettivo del 2% (a ottobre in Italia è stato raggiunto un tasso tendenziale dell’1,8%) il rendimento reale degli investimenti in titoli a reddito fisso (rendimento nominale offerto meno tasso di inflazione) è ritornato positivo.

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