Parkinson, sintomi e segni premonitori della «malattia del tremore». Si può prevenire e come?- Corriere.it

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Si stima che circa 350 mila italiani soffrano della malattia di Parkinson. Eppure, questa patologia neurodegenerativa è ancora poco nota; in particolare, spesso sono sconosciuti i segnali premonitori che aiutano a riconoscerla anche molti anni prima che si manifestino i sintomi tipici quali, per esempio, il tremore. In occasione della giornata nazionale della malattia di Parkinson il 25 novembre, promossa dalla Fondazione Limpe per il Parkinson onlus in collaborazione con la Società italiana Parkinson e disordini del movimento Limpe-Dismov, gli specialisti di circa 90 centri italiani esperti nella diagnosi e nel trattamento del Parkinson aprono le porte a cittadini, pazienti, caregivers per fornire informazioni e consulenze gratuite sulla malattia, come riconoscerla in anticipo, le terapie per migliorare la qualità di vita delle persone che ne soffrono (e anche di chi le assiste). Quest’anno il messaggio della giornata si focalizza sull’importanza del movimento per migliorare le condizioni di chi soffre di Parkinson (hastag #muoviamocinsieme).

La malattia e le cause

Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa causata dal deterioramento di alcune cellule del cervello, i neuroni dopaminergici, che producono la dopamina, un neurotrasmettitore che controlla i movimenti automatici del corpo. Nella maggior parte dei casi la malattia fa il suo esordio intorno ai 60 anni.
«Contrariamente a quanto si pensa – sottolinea il presidente della Fondazione Limpe, Mario Zappia, professore ordinario di Neurologia e direttore della Clinica neurologica dell’Università di Catania – la malattia di Parkinson può riguardare anche persone giovani, in particolare in circa il 10-15% dei casi l’esordio avviene prima dei 45 anni, quindi colpisce persone nel pieno delle attività, con ricadute sulla vita lavorativa e sociale, ma anche di relazione all’interno della famiglia. La malattia provoca non solo disabilità motoria ma anche problematiche psicologiche fortemente invalidanti».
Quanto alle cause che scatenano la malattia, nel 10 per cento dei casi scaturisce da condizioni genetiche, mentre nella maggior parte dei casi, conta la predisposizione genetica – cioè una maggiore propensione a sviluppare la malattia qualora si verifichino determinate cause – che interagisce, appunto, con alcuni fattori di rischio ambientali quali, per esempio, l’esposizione a idrocarburi e alcuni pesticidi.

Sintomi

I tipici sintomi della malattia di Parkinson che in generale si presentano in modo asimmetrico (un lato del corpo è più interessato dell’altro) sono:
tremore a riposo
rigidità
lentezza dei movimenti automatici (bradicinesia) e, in una fase più avanzata, perdita di equilibrio.
«La rigidità a volte può provocare dei blocchi articolari, che determinano dolore tanto che, agli inizi, il paziente può rivolgersi non al neurologo ma all’ortopedico, fisioterapista, fisiatra, ritenendo che quel dolore abbia una causa muscolare o articolare – sottolinea il professor Zappia –. Invece, la rigidità determina un blocco secondario, soprattutto a livello della spalla, e questo può provocare un ritardo nella diagnosi del Parkinson, quindi anche nell’impostazione della corretta terapia».

Segnali premonitori

Alcuni segnali premonitori si possono manifestare anche molti anni prima dell’esordio del Parkinson, fino a dieci anni prima della diagnosi. «Prima che la malattia si manifesti coi classici sintomi motori ci possono essere delle condizioni cosiddette “prodromiche”, spia di un processo neurodegenerativo in corso di evoluzione, che ancora non si è manifestato come malattia» riferisce il professor Zappia. Quali sono questi segnali? «Alcuni possono essere aspecifici cioè attribuibili anche ad altre condizioni come, per esempio, depressione e stipsi – ricorda il neurologo –. Altri sintomi un po’ più specifici, che si possono manifestare qualche anno prima che la malattia si manifesti, sono la diminuzione o la perdita di olfatto e il cosiddetto disturbo comportamentale del sonno REM (Rapid Eye Movements, movimenti oculari rapidi), cioè queste persone hanno un sonno disturbato, per esempio, sognano di essere inseguiti o di avere alterchi, e gridano, tirano calci e pugni mentre dormono ma non ne sono consapevoli; lo sappiamo perché ce lo riferiscono i partner. Anche questo disturbo può essere una spia della futura malattia» sottolinea l’esperto.

Cure

Come si cura la malattia di Parkinson? Spiega Zappia: «Oggi c’è una maggiore attenzione ai sintomi prodromici perché, dopo anni in cui abbiamo curato i pazienti con terapie di tipo sintomatico cioè in grado di ridurre lentezza e tremore, finalmente sono in corso diverse sperimentazioni cliniche (in fase 2 e 3) con varie molecole che cercano di intervenire sulla patogenesi della malattia, quindi sul processo neurodegenerativo. Riuscire a individuare, attraverso i sintomi prodromici, le persone a rischio di sviluppare la malattia – qualora gli studi che si stanno svolgendo dimostrassero l’efficacia delle molecole – potrebbe consentire di intervenire precocemente sul processo neurodegenerativo con la speranza di arrestare l’evoluzione della malattia o ritardare la comparsa».

Prospettive

Oggi a che punto siamo? «Non possiamo dire che la soluzione sia dietro l’angolo – risponde lo specialista –. Però, a differenza degli anni passati, ci sono molto sforzi in varie direzioni e speriamo, nell’interesse dei pazienti, che si possano avere a breve delle risposte efficaci».
Ma occorre investire nella ricerca. «Il nostro Paese è ai primi posti al mondo per produzione scientifica sulla malattia di Parkinson – riferisce il professor Zappia – . Occorre riuscire a trovare risorse perché i giovani si possano formare ma anche sviluppare le loro ricerche; intanto la Fondazione Limpe ha deciso di stanziare 150 mila euro per progetti innovativi di ricerca sul Parkinson».

Il ruolo dell’attività fisica

Nella malattia di Parkinson è fondamentale il movimento. Riferisce il presidente della Fondazione Limpe: «Ci sono diverse evidenze scientifiche che l’attività motoria migliori le condizioni delle persone con Parkinson: si può esplicare a più livelli, per esempio, è noto come la danza – dal tango ad altre forme di ballo- migliori le condizioni del paziente parkinsoniano; fanno stare meglio pure altre attività come il Tai Chi orientale, probabilmente perché consente un maggior controllo dei movimenti, che è in grado di apportare delle modifiche nel nostro cervello tali da poter compensare alcune condizioni deficitarie. Anche l’attività aerobica può migliorare la condizione dei pazienti, probabilmente perché l’organismo, in seguito all’attività fisica, è in grado di elaborare delle sostanze che svolgono un’attività di tipo neuro-protettivo. Inoltre – continua il neurologo – va considerato l’aspetto sociale e relazionale poiché attività come ballo o Tai Chi permettono di uscire di casa, di vivere all’aria aperta, incontrare altre persone, quindi migliora anche la condizione psicologica. Il paziente con Parkinson ricorda l’esperto è una persona che si muove poco e male, quindi riuscire a superare l’ostacolo dovuto anche a una condizione di paura – per esempio di cadere – e di inibizione nell’affrontare determinate attività, può essere la chiave di volta che porta ai miglioramenti che si osservano».

Alimentazione, cosa mangiare e cosa evitare

L’alimentazione varia in funzione dei diversi stadi della malattia. «Se si soffre di stipsi si può arricchire la propria dieta con le misure quali idratazione, movimento, mangiare alimenti ricchi di fibre – consiglia il professor Zappia –. Man mano che la malattia progredisce, possono subentrare problemi nell’assorbimento dei farmaci, in primis del principale medicinale utilizzato per la malattia, la levodopa».
In particolare, se i pasti, soprattutto iperproteici, interferiscono con l’assorbimento delle medicine, si può ridurre la loro efficacia. Per evitarlo, specifica il neurologo, andranno adottate «misure alimentari, per esempio, spostare l’apporto proteico in orari della giornata che non interferiscono con l’assorbimento del medicinale. A ogni modo – sottolinea il neurologo – le misure devono essere valutate caso per caso dallo specialista, in base al problema specifico del paziente».
Di certo, fanno bene cibi ricchi di antiossidanti, visto che una delle ipotesi alla base della patogenesi della malattia è che vi sia un eccesso di stress ossidativo.

Riconoscimento dei caregivers familiari

«I caregivers familiari che si prendono cura dei loro cari sono fondamentali nella gestione della malattia di Parkinson – sottolinea il presidente della Fondazione Limpe – . Si devono occupare di una persona che molte volte ha una disabilità non solo motoria ma anche problematiche psicologiche fortemente invalidanti, però spesso sono lasciati soli, e c’è anche chi è costretto a lasciare il lavoro per assistere il proprio congiunto. Le istituzioni devono comprendere che i caregivers familiari sono una risorsa e trovare al più presto delle soluzioni per aiutarli in termini di formazione e di supporto, anche economico».

Le iniziative per la giornata: dalle consulenze ai seminari

In occasione della giornata nazionale, medici specialisti di circa 90 Centri esperti in diagnosi e trattamento del Parkinson, che hanno aderito all’iniziativa, sono a disposizione di cittadini e pazienti per fornire informazioni e consulenze gratuite.
Informazioni su seminari, ambulatori aperti, incontri coi medici e varie iniziative – tra le altre, passeggiate nei parchi e visite ai musei – sono disponibili sul sito della Fondazione Limpe (cliccare qui): cliccando sulla propria Regione si trovano i dettagli degli eventi organizzati in ogni singolo Centro.

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