La sfida di De Luca-Meloni e il vocabolario (offese incluse): da «cicatiello» a «stracciarola»

admin
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Gara di insulti, match di professionisti. Dai che vi è capitato, che qualcuno vi rovesci addosso una battutaccia, e voi restate lì, muti, come uno stoccafisso. Poi vi svegliate di notte, dopo aver finto che non vi importasse, e vi viene l’illuminazione. Ah, ecco che cosa avrei potuto dirgli! Ma ormai è tardi, magra consolazione, avete già perso 6-0, 6-0. Non è un problema che riguardi Giorgia Meloni e Vincenzo De Luca. Professionisti, appunto.

Il governatore della Campania mena per primo, che chi mena per primo mena due volte. E gli girano un po’ le scatole, anche perché lo sapeva che il voto sarebbe arrivato, anche quello del suo partito, contro il terzo mandato per i presidenti di Regione. 

E allora giù, con la clava: quello di Meloni è un governo Badoglio. Chi ha meno di settanta anni non lo capisce, ma i congressi del Msi una volta finivano così. Qualcuno apriva all’arco democratico e dalla platea qualcun altro gridava: Badoglio! E finiva a mazzate. E ancora, sempre De Luca: governo di farabutti, imbecilli, provocatori, parlo con Giorgia di un provvedimento e un po’ sente e un po’ no, perché non capisce. Finora a Palazzo Chigi al massimo ha vinto una bambolina. Come a un luna park di provincia. 

E poi, De Luca marcia sulla capitale con duecento sindaci con tanto di fascia, che l’avanzata su Roma istituzionale magari non è inquietante, ma sempre rissosa è.

Lo scontro

Sbaglia soggetto, perché «io sono Giorgia» non si mette paura e non te le manda a dire. «Invece di manifestare pensassero ad andare a lavorare», risponde la premier, che lo lascia a fare anticamera, prima con Raffaele Fitto, e poi con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, perché lei quel giorno sta in Calabria e «de minimis non curat praetor», cioè, tradotto, chi ha un ruolo importante non si perde nelle piccolezze.

Lui, Vincenzo, in cerca di un sorso d’acqua, si sdraia su un divanetto di Montecitorio e sbraca: «Ci vada lei a lavorare, la stronza». Mossaccia, che giustamente Meloni lo prende d’infilata, e chiede le scuse a Elly Schlein, che si barcamena. La segretaria del Pd sopporta De Luca come un ascesso ai molari, ma col cavolo che vuole dare ragione alla sua avversaria.

Adesso, uno direbbe, anche basta. Una fa la premier, l’altro è uno dei governatori delle regioni più popolose d’Italia e più famose nel mondo. Succede, è la politica, specie in tempo di elezioni vicine, finiamola qui. Manco per niente. Una lo tratta, di fatto, da cialtrone, l’altro le dà della stracciarola.

Meloni sceglie il salottino Rai di Bruno Vespa per colpire di sciabola, che il fioretto lasciamolo da parte. «Guardiamo come ha speso la Campania i fondi di coesione — azzanna con l’abilità con la quale aveva affondato Chiara Ferragni sui pandori —. Lì ho trovato la festa del fagiolo e della patata, la rassegna della zampogna, la festa del caciocavallo podolico, la sagra dello scazzatiello e del cicatiello… Ci può essere un modo migliore per usare i soldi?». Bel colpo.

Per la cronaca. Scazzatiello: pasta con grano duro e tenero, uova, acqua e sale fino. Cicatiello: ancora pasta, ma solo con farina e acqua, condita con un ragù di carne di maiale. Caciocavallo podolico: per prima cosa vi serve una vacca podolica, d’origine ucraina, importata in Italia ai tempi delle invasioni barbariche, una razza abituata a poca acqua ed erba rada. 

Che poi uno direbbe: è l’esaltazione del made in Italy! Sì, figurati, De Luca non ci pensa nemmeno. A mala pena si trattiene dal dare della vaiassa (definizione inaccettabile, cercare sul dizionario Treccani) alla leader di Fratelli d’Italia che è diventata presidente del Consiglio sotto la spinta di un voto molto più che robusto degli elettori. Sarebbe ora di farla finita.

 All’inizio, per quanto ruvida, sembra che il presidente della Campania voglia dare una risposta più o meno istituzionale alla premier: «È in atto una campagna di aggressione mirata e di falsificazione che si accompagna sempre all’aggressione politica». Ci sta, la guerra è guerra, ma poi sbraca ancora una volta: «Non possiamo dare spazio a chi adotta uno stile da stracciarola, fatto di volgarità e approssimazione».

L’Autonomia

Per quanto riguarda Meloni, e pure De Luca, è legittimo giurare che solo di risse verbali, pur fuori dalle righe, si tratti. Poi ci sono i manichini della premier bruciati, gli allarmi di cui parla il capo dello Stato, Sergio Mattarella. E tenere d’occhio l’animo di ciascuno, oltre che gli sbandamenti delle frange estreme, può aiutare a tenere coeso il Paese.

Anche perché nel mezzo c’è la battaglia sull’autonomia differenziata, con le Regioni del Nord a guida centrodestra, ma anche con l’Emilia-Romagna del Pd Stefano Bonaccini, che rivendicano il diritto a maggiore indipendenza, sulla base dei buoni risultati delle loro amministrazioni. E con le Regioni del Sud, la maggioranza delle quali in sintonia politica con il governo, che temono di fare la parte dei vasi di coccio per le ragioni storiche che spaccano in due l’Italia.

Non che alle tifoserie importi più di tanto. Per la gara di insulti basta aspettare la prossima puntata.

23 febbraio 2024

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