La parola magica è energy release. Francia e Germania si attrezzano, le imprese italiane. “Così non possiamo competere”

admin
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Germania e Francia aiutano le rispettive industrie nel contrasto al caro-energia a suon di decine di miliardi di euro. Un passo ulteriore verso la fine del mercato unico europeo e una minaccia alla competitività delle produzioni italiane. “L’Italia – è il grido di allarme delle imprese interpellate da HuffPost – non può competere”, soprattutto se le aziende nostrane sono costrette, denunciano, a pagare l’energia due volte quanto pagano i concorrenti franco-tedeschi: “Rischiamo di andare fuori mercato”. Roma, come noto, non ha gli stessi spazi di manovra fiscale: “La partita si giocherà sul Patto di Stabilità” sottolinea Confimi, l’associazione dell’industria manifatturiera italiana. Per Federacciai, ci spiega il presidente Antonio Gozzi, è necessario che il governo Meloni proponga a Berlino “una tariffa europea per gli energivori” e si affretti a “sbloccare il decreto energia con al suo interno misure fondamentali come l’energy release”. Un provvedimento atteso da oltre un mese e che il ministro Gilberto Pichetto Fratin promette di portare in Consiglio dei ministri entro la fine di novembre. Misure rese ancora più urgenti dalla decisione della Commissione Ue, comunicata oggi da Bruxelles, di prorogare per altri sei mesi il regime di favore verso gli aiuti di Stato in ambito energetico: una mossa che, secondo alcune imprese, cela un favoritismo delle istituzioni Ue nei confronti di Parigi e Berlino.

Nel pomeriggio di lunedì 20 novembre, è lo stesso ministro dell’Ambiente a riconoscerlo durante l’assemblea di Proxigas: si sta “tentando di arrivare a una soluzione che eviti concorrenza sleale tra gli Stati” membri dell’Unione Europea. “Ma è un percorso difficile” avverte il forzista. Quando si tratta di spendere miliardi per sostenere le nostre imprese, Pichetto ammette che “noi non possiamo, mentre la Germania può perché ha un bilancio diverso”. Il riferimento è alla decisione della Repubblica federale di approvare un taglio delle tasse sull’energia per 12 miliardi l’anno da qui al 2025, nonché fornire alle imprese la garanzia di un costo di 70 euro a MegaWattora (contro i 129 euro italiani). In parole semplici: fino a quando i prezzi energetici restano sotto quella soglia, li paga l’impresa. Quando la supera, in momenti di shock legati a guerre e pandemia, i soldi ce li mette lo Stato. Anche in Francia ci si muove nella stessa direzione. È notizia di pochi giorni fa l’accordo con cui il governo francese, attraverso il produttore nucleare statale Edf, garantirà alle imprese d’oltralpe un prezzo medio dell’elettricità di circa 70 euro/Mwh.

Del resto, anche se la pandemia sembra definitivamente alle spalle, le tensioni geopolitiche sono più vive che mai. Dalla guerra in Ucraina al ritorno delle ostilità in Medio Oriente. Dinamiche che non promettono nulla di buono per i prezzi dell’energia, decisamente più bassi rispetto all’annus horribilis 2022, ma ancora molto volatili e comunque tre volte superiori a quelli del 2019. In questo contesto di incertezza si inserisce la doppia mossa franco-tedesca che secondo il presidente di Federacciao, Antonio Gozzi, rappresenta un “attacco diretto al paradigma del mercato unico europeo. Una mossa che cambierà per sempre la competitività relativa tra le manifatture dei diversi Paesi, danneggiando enormemente l’industria italiana” spiega il numero uno di Duferco ai taccuini di HuffPost. “Tra l’altro, in entrambi i Paesi, Francia e Germania, è attivo da diversi anni il meccanismo di compensazione dei costi indiretti, che garantisce un rimborso alle loro imprese superiore ai 15 euro/Mwh. In Italia la stessa norma è stata attuata con molti anni di ritardo e solo in via parziale, garantendo alle imprese un rimborso di soli 3 euro”.

Alla lunga lista di vantaggi competitivi garantiti da mano pubblica alle imprese a nord e a ovest delle Alpi se ne aggiunge un’altra ricordata dal delegato all’Energia di Confindustria, Aurelio Regina, in una recente intervista a Repubblica: “Le imprese italiane ricevono meno rimborsi per i costi indiretti della Co2: i tedeschi erogano oltre 600 milioni di euro all’anno contro i 140 dell’Italia. La nuova direttiva Ue, in vigore dallo scorso maggio, consente di restituire costi indiretti della Co2 fino al 25% del gettito, che per l’Italia sarà mediamente di 3,5 miliardi all’anno, ovvero 800 milioni”. Quasi un miliardo che potrebbe essere restituito alle imprese. In questo modo, ecco il punto della faccenda, il prezzo dell’energia per le imprese italiane continuerà ad essere il più alto d’Europa. “Da gennaio sarà circa il doppio rispetto a quello pagato da concorrenti tedeschi e francesi”. Sia chiaro: le misure messe in campo da Parigi e Berlino non solo hanno effetti in termini di risorse che finiscono nelle tasche delle rispettive filiere, ma ne hanno anche in termini di programmazione. “Le loro imprese possono pianificare e fare investimenti per i prossimi anni. Quelle italiane”, esposte a una maggiore incertezza sui prezzi del futuro, “non possono fare lo stesso”. Le imprese tricolore, secondo Confindustria, rischiano di andare fuori mercato e perdere quote negli scambi internazionali.

Parte della sfida della competitività, secondo le grandi imprese energivore italiane, è ora sulle spalle del governo. Dopo la delusione sulla legge di bilancio – il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha denunciato come solo il 9% delle risorse messe in campo dall’esecutivo sia dedicato alle imprese – la speranza degli imprenditori poggia ora sul prossimo decreto energia. Si tratta di un provvedimento, il promotore è il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, che sarebbe dovuto approdare in Consiglio dei ministri a fine ottobre. Ma il nodo della proroga del mercato tutelato per gli utenti che pagano le bollette a prezzi fissati dall’Autorità dell’energia sta facendo slittare l’approvazione del decreto, al cui interno trovano spazio altre misure ritenute “urgentissime” dalle industrie. In primis l’energy release, fondamentale per ridurre, appunto, il differenziale pagato dalle imprese sul prezzo di gas ed elettricità. All’interno del provvedimento è previsto, ad esempio, il rilascio di energia dal magazzino del Gse, destinazione industrie energivore, in cambio di continui investimenti in energie rinnovabili per circa 12 miliardi. Un incentivo, peraltro, volto a decarbonizzare il sistema produttivo. Per non parlare di tutta una serie di norme con le quali il governo intende migliorare l’efficienza nello sfruttamento dei giacimenti di gas.

“Si tratta del solito contentino per far vedere che sono stati messi soldi sulle imprese, ma è comunque un inizio. Detto questo, il problema della competitività a livello continentale resta” lamenta ad HuffPost il presidente di Confimi, l’associazione che riunisce le imprese manifatturiere italiane, Paolo Agnelli: “Con la concorrenza di India, Cina e adesso anche Turchia non possiamo fare nulla. E questo già lo sapevamo. Ma ora rischiamo di rimanere soli anche in ambito europeo, con costi dell’energia decuplicati per colpa della malafede della Banca centrale europea”. La critica alla stretta monetaria da parte del noto industriale dell’alluminio è durissima: “Ci troviamo di fronte a un’inflazione causata dall’aumento dei prezzi dell’energia, e non da maggiori consumi o investimenti. Non si doveva intervenire con il rialzo dei tassi di interesse, come ha fatto la Bce non per ignoranza, ma per malafede, cioè dando un assist a banche e attori finanziari. Bastava semplicemente incentivare le imprese produttrici, come le nostre, a non alzare i prezzi a monte garantendo loro un adeguato regime di aiuti in questi anni di shock”.

I soldi non ci sono, ma per Agnelli, come del resto per tutti gli altri, da Confindustria a Federacciai, la partita è tutta europea. È necessaria – conclude Gozzi – una “rinnovata politica industriale europea. Serve una tariffa unica europea per gli energivori, contro questo tana libera tutti che sta distruggendo il mercato unico europeo” annuncia durante l’assemblea di oggi pomeriggio di Proxigas. Deve essere l’Italia a proporlo, insiste Gozzi, e “vediamo come reagiscono i tedeschi”. Quali sono i prossimi passi da qui alle prossime settimane? Gli industriali interpellati dal nostro giornale si dicono concordi: mettere da parte le tensioni politiche, approvando a stretto giro il decreto energia e battersi per un patto di Stabilità, sottolineano da Confimi, che dia all’Italia maggiori spazi di manovra. Altrimenti, come dimostra plasticamente la decisione odierna della Commissione Ue di concedere una proroga di ulteriori sei mesi agli Stati che mettono in campo massicci aiuti contro il caro-energia – vedi Germania e Francia –, l’Italia sarà costretta a dire addio alla sua competitività industriale, da quella pesante alla manifatturiera.

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