il festino, le coltellate e tutti gli errori dei presunti killer

admin
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Nelle loro esistenze randagie, sofferte e disperate servivano soldi. Sempre soldi. Per pagare le dosi di droga, per trovare un posto dove dormire visto che pellegrinavano in giro, per mettere insieme almeno un pranzo al giorno. E il povero Andrea Bossi, con quegli amati anelli d’oro esposti come oggetti d’arredo nel monolocale di proprietà a Cairate, in provincia di Varese, era una preda perfino troppo «facile». Dopo i due arresti di mercoledì, gli sviluppi diranno se Douglas Carolo, 23 anni, e Michele Caglioni, appena vent’anni, in cella con l’accusa di omicidio, abbiano premeditato l’uccisione di Bossi, con un fendente al collo.

Un coltello da cucina l’arma del delitto, mai trovato in una «gestione» dell’omicidio però caratterizzata da sequenze di grossolani errori. Del resto in un mese — era la mezzanotte di venerdì 26 gennaio — i carabinieri del Comando provinciale di Varese hanno risolto il caso. I presunti killer, con residenza ufficiale in zona, avevano utilizzato la carta di credito della vittima per prelevare; in precedenza, tale era stata la foga di scappare dalla scena del crimine che non avevano ripulito pareti, pavimento, ballatoio e scale dalle impronte e dalle tracce di sangue — uno dei due era schedato —; non si erano liberati di una scarpa con rilevanti macchie ematiche conservandola da allora, alla pari di uno dei cellulari di Andrea; hanno lasciato «conferma» evidente dell’azione assassina nelle conversazioni telefoniche intercettate; hanno provato a vendere parte della refurtiva in un negozio che rileva oro; si sono mossi in aggiunta alla ricerca di ricettatori per piazzare il resto della merce depredata; sono comparsi nei filmati delle telecamere di videosorveglianza in orari compatibili con il delitto.

Senza contare che già coltivavano un rapporto forse sentimentale con Bossi, 26enne impiegato in una ditta metalmeccanica e con un passato di studi da orafo: rapporto per forza rimasto conservato in telefonate e chat. Quella sera, nel monolocale di Andrea, i tre amici avevano organizzato un festino. Forse era girato stupefacente, forse troppi alcolici. Magari, nell’eventuale scenario ideato con l’obiettivo di stordire o far addormentare la vittima per arraffare, oltre agli anelli, bracciali e denaro contante, Carolo e Caglioni avevano pensato di compiere una razzia di nascosto. Ma Bossi, in ciabatte, tuta e maglietta, il vestiario con cui andava a letto, si era accorto e aveva chiesto conto. Per evitare che urlasse o telefonasse alle forze dell’ordine, uno dei ragazzi l’aveva colpito col primo strumento disponibile, il coltello da cucina.

Nel registrare la sovrapposizione, per la Procura di Busto Arsizio retta da Carlo Nocerino, titolare dell’inchiesta, tra gli omicidi avvenuti sul territorio e quelli risolti, gli inquirenti non trasmettono la sensazione di buchi da colmare nella narrazione criminale. Certo nell’interrogatorio di garanzia Douglas e Michele potrebbero accusarsi a vicenda, tradirsi infrangendo una forte amicizia che poggia sulla comune inquietudine, su rapporti problematici con le famiglie, sulla passione per la musica sognando i «talent» televisivi, su una ritrosia a campare faticando.

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