Curare il sonno per prevenire la demenza- Corriere.it

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Nella nostra società serpeggia un’epidemia silenziosa di alterazioni del sonno di cui, a volte, non si rendono conto neppure i medici. Lo dimostra uno studio presentato da Claudio Bassetti dell’Università di Berna al nono congresso della Società Europea di Neurologia, tenuto a Bruxelles: il 46% dei soggetti valutati presentava eccessiva sonnolenza diurna o insonnia, ma solo nel 32% dei casi c’era stata una diagnosi di disturbo del sonno. «Questa situazione imperversa da almeno 20 anni, compromettendo la salute e la qualità di vita di milioni di persone: lo studio “Morfeo” del 2004 aveva fornito risultati pressoché identici — dice Liborio Parrino, direttore dell’Unità di Neurologia e del Centro di Medicina del sonno dell’Università di Parma —. Se viene individuato un disturbo del sonno solo in un terzo dei pazienti insonni o con sonnolenza diurna, i medici europei hanno ancora tanto lavoro da fare».

Due epidemie parallele

«La faccenda si complica anche perché sempre più studi indicano che a questa epidemia se ne associa un’altra e le due sembrano sempre più strettamente legate fra loro — commenta Alessandro Padovani dell’Università di Brescia, presidente della Società Italiana di Neurologia —. Uno studio appena pubblicato su Jama da colleghi americani, australiani e canadesi diretti da Jayandra Jung Himali delle Università del Massachusetts e del Texas indica come l’avanzare dell’età comporti una riduzione del sonno a onde lente, cioè quello profondo e più ristoratore, fondamentale per rimuovere i cataboliti del metabolismo cerebrale e per consolidare la memoria e le funzioni cognitive». Finora si sapeva che l’insonnia cronica nella mezza età, dai 50 ai 70 anni, si associa in genere a un aumento del 30% del rischio di demenza a esordio tardivo. Questo studio è stato più preciso: ogni anno per una diminuzione percentuale di sonno profondo si verifica un aumento del rischio di demenza del 27%. «Dato che per questa grave malattia ancora non esiste una cura davvero risolutiva — commenta Padovani — eliminare i disturbi del sonno, che possono invece essere trattati, aiuterebbe a ridurre la temibile quota di 153 milioni di dementi prevista nel mondo per il 2050». «Le alterazioni del sonno precedono la demenza e non viceversa — conclude — e ciò può essere utile, perché instaurare trattamenti che assicurino un riposo notturno di buona qualità e quantità può rallentare la disfunzione cognitiva in genere e la stessa malattia di Alzheimer».

Sonno e sistema immunitario

In questa relazione disturbi del sonno/demenza è coinvolto anche il sistema immunitario che nell’uomo segue gli schemi diurni circadiani cosicché citochine e immunoglobuline di notte aumentano, mentre le cellule immunitarie (linfociti T, B, NK, neutrofili e macrofagi) sono ai livelli più alti nelle prime ore della sera e ai livelli più bassi al mattino. I disturbi del sonno interrompono questa regolazione creando condizioni favorevoli allo sviluppo delle malattie neurodegenerative dove anche l’infiammazione gioca un ruolo importante. Il trattamento dell’insonnia può reindirizzare i profili immunitari infiammatori alterati, mitigando non solo il rischio di malattie legate all’infiammazione come quelle neurodegenerative, cardiovascolari o mentali, ma riducendo anche la suscettibilità alle malattie infettive. «Un buon sonno per qualità e durata diventa anche un vaccino efficace contro le malattie infettive — incalza Parrino —. In un altro studio dei ricercatori dell’Università della California si è visto che chi dorme poco e male è molto più soggetto a raffreddori e sinusiti rispetto a chi invece riposa adeguatamente». Infettando 164 volontari sani tramite gocce nasali con il virus del raffreddore, dopo averli tenuti chiusi per una settimana in un albergo dove erano continuamente monitorati di notte, è risultato che chi dormiva meno di 5 ore si ammalava 4,5 volte di più di chi invece aveva un riposo di almeno 7 ore.

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