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Carne coltivata, grani antichi e nuove tecnologie. Con questi tre “piatti”, oggi molto caldi, imbandiremo la nostra tavola domani. «Un domani nenche troppo lontano», spiega Sharon Cittone, delegata italiana del G100 e Global Chair Food Innovation. Indicata da Forbes tra le donne più potenti al mondo che plasmeranno il futuro del cibo, Cittone è tra le ospiti eccellenti del Women Economic Forum che si apre oggi: per la prima volta in Italia, a Roma (fino al 23 novembre).
Women Economic Forum, quali sfide per le donne a livello globale
Si tratta di un momento importante di condivisione e confronto sulle sfide che le donne si trovano ad affrontare oggi nel mondo. E sono tante e ambiziose, visto che, secondo il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum, sono necessari ancora 131 anni per colmare il divario complessivo tra i generi (mentre per la parità economica e politica sono necessari rispettivamente 169 e 162 anni).
«Nonostante le tantissime giovani donne imprenditrici che si stanno affermando, continuiamo a essere prese poco sul serio. Non ovunque ugualmente ma di certo in Italia e nei Paesi del sud dell’Europa», ammette Cittone (nel Global Gender Gap Report l’Italia è in calo di 16 posizioni rispetto al 2022, al 79esimo posto sui 146 Paesi analizzati). «Ma anche negli Usa, per esempio, le donne raggiungono sì posizioni alte, ma come capi marketing e comunicazione. Ceo o founder donna sono poche. La questione che mina la possibilità di carriera per certe posizioni è sempre la stessa: ma poi ce la fai a essere Ceo e madre?».
Carne coltivata e nuove tecnologie: il futuro del cibo secondo Sharon Cittone
Qualcuna, ed è il caso di Sharon Cittone, ai massimi livelli arriva. Con la sua piattaforma Edible Planet Ventures, offre supporto ad aziende che puntano all’innovazione agroalimentare. Un campo fondamentale per il futuro del pianeta, dominato da molti pregiudizi e luoghi comuni.
Per esempio? «Pochi consumatori sono consapevoli che il settore agroalimentari incide per circa un terzo sul cambiamento climatico». Quello che portiamo in tavola ha un impatto decisivo sulla salute della Terra, oltre che sulla nostra.
Ecco allora le 7 grandi sfide del futuro del cibo secondo Sharon Cittone. Sette sfide che corrispondono a scelte che ciascuno di noi può fare quando fa la spesa. Magari non oggi, ma presto.
1. La carne coltivata
«La questione più importante per un pianeta con una popolazione in crescita e una richiesta di carne in aumento è quella delle proteine complementari e alternative. E la carne coltivata è una soluzione che solo una politica miope può non vedere», spiega Cittone. Parole chiare, all’indomani dell’approvazione, al Parlamento, del disegno di legge che vieta produzione e vendita in Italia di carne coltivata (ma non l’importazione dall’estero, qualora l’autorità europea per la sicurezza alimentare EFSA si pronunciasse a favore).
Tra i pregiudizi diffusi, il fatto che si tratti di carne sintetica. Mentre «è proteina animale lavorata in laboratorio senza aggiunta di antibiotici, quindi il meglio che si possa desiderare».
Oppure, che mini il Made in Italy: falso. «Se si pensa, vietando la produzione di carne coltivata, di sostenere gli agricoltori italiani, si sbaglia: l’Italia importa la metà della carne che mangia, quindi il Made in Italy non c’entra affatto. Non solo: il cambiamento climatico rende sempre più difficile fare agricoltura in Italia: trovare alternative significa puntare su questo settore». Il solo risultato del divieto? I consumatori italiani continueranno a importare carne anche quando sarà disponibile quella coltivata.
2. Meno allevamenti intensivi
È la concorrenza degli allevamenti intensivi che va combattuta. Quelli a cui sono destinati i foraggi prodotti sul 60% delle terre coltivabili nel mondo. Tanto è il consumo di suolo destinato a nutrire gli animali allevati in batteria. «Considerate che cosa state mangiando: cercate le immagini di un pollo di 50 anni fa e confrontatelo con il pollo com’è oggi. Scoprirete di nutrirvi con dei polli Schwarzenegger, con enormi pettorali, che del pollo hanno pochissimo».
3. Le eccellenze italiane
La carne coltivata non fa concorrenza alle eccellenze. «Anzi, l’allevatore di razza Chianina o la carne prodotta in malga saranno meglio tutelati, proprio in quanto eccellenze italiane. È giusto spendere di più per mangiare meno carne, se è buona e sana».
L’innovazione, anche quando si parla di carne coltivata, attrae investimenti. «Con il vantaggio di creare posti di lavoro e indotto economico. Ma anche di trattenere i cervelli che, diversamente, andranno all’estero, dove l’innovazione è finanziata».
Ma gli investimenti sui prodotti italiani devono essere coerenti, rispondere a una visione d’insieme. «Non è possibile pagare un ananas un quarto di una mela trentina: il consumatore può darsi torni a casa contento ma il sistema che gli ha proposto questa scelta è sbagliato».
4. L’agricoltura rigenerativa
«Significa, in parte, tornare alla saggezza dei nostri nonni. In parte, innovare. Il futuro del cibo è nell’agricoltura biologica ma anche rigenerativa: quella che punta a salvaguardare il microbioma, rigenerando il suolo. Solo in questo modo torneremo ad avere arance che sanno di arance, e mele di mele, con le proprietà nutrizionali che oggi presumiamo abbiano ma non hanno più», spiega Cittone.
Bando, dunque, allo sfruttamento intensivo del suolo e alle monoculture destinate agli allevamenti. Un’agricoltura buona e rigenerativa è quella che aumenta la biodiversità delle specie vegetali e di quelle microbiche, che integra gli animali e le piante nell’azienda agricola e che consente anche alla terra di riposare.
5. La biodiversità
Nel corso della storia umana, su circa 30.000 specie di piante commestibili, “solo” 6/7mila sono state coltivate a scopo alimentare. E di queste “solo” 170 su scala commercialmente significativa. Ma oggi dipendiamo fortemente solo da una trentina di queste colture. E più del 40% delle nostre calorie giornaliere provengono da solo tre di quelle 30mila: riso, grano e mais. Il fatto che migliaia di colture siano state trascurate o sottoutilizzate non è solo un peccato per tutti i sapori e i nutrienti che ci stiamo perdendo, ma anche per l’agricoltura stessa. Se sono state “trascurate” è magari perché hanno rese basse o semplicemente non sono stati ben studiate e non sono mai entrati nel mercato globale. Sostenute dalle politiche e dai finanziamenti giusti, potrebbero rinascere.
«L’Italia è, in questo senso, un caso scuola: ha una biodiversità unica. Dai grani antichi alle mele: la varietà di alimenti a disposizione per creare una dieta sana e ricca è enorme», spiega Cittone. Prendiamo i legumi: Slow Food ne ha iclusi 300 a bordo della sua Arca del Gusto, di cui 124 in Italia, e ben 48 legumi in Italia sono Presìdi Slow Food. Oppure le olive: In Italia ci sono oltre 538 varietà di alberi di olivo, che producono olive da olio.
«Eppure tendiamo a mangiare sempre gli stessi 3 cibi. Frumento, mais e grano. Ma che cosa stiamo mangiando è anche un tema di sanità pubblica: con ripercussioni sul benessere collettivo, oltre che individuale».
Il consumatore può sostenere la biodiversità e un’agricoltura rigenerativa a rotazione: «Mangiando, o imparando a mangiare, cose diverse. Della stagione giusta e del territorio in cui vive, innanzitutto. Riscoprendo prodotti antichi e buonissimi che rischiano di andare perduti perché il mercato non li richiede», continua Cittone.
6. La filiera
Tra le sfide del futuro del cibo c’è anche una nuova attenzione alla filiera. «Significa chiedersi e pretendere di sapere da dove viene il cibo che si porta in tavola. Sia la carne coltivata, la bistecca di Chianina, l’ananas o il piatto di pasta. Quando sull’etichetta leggete un’ingrediente che fate fatica a pronunciare, non comprate quel prodotto. Stop», dice Cittone.
7. Lo spreco alimentare
«Lo spreco alimentare lungo tutta la filiera è un altro tema importante, con un impatto esorbitante sul portafoglio e sulla salute», conclude Cittone. «Ma un tema decisivo è anche l’impatto degli imballaggi. Compresi i cosiddetti sacchettini biodegradabili, che biodegrabili non sono affatto. Ogni nostra scelta è decisiva: proviamo allora a pesare la nostra zucchina senza sacchetto e a mettere l’etichetta su quella. Cambiare le cose dal basso è possibile».
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