Visite con il medico da casa: da quando saranno possibili e come funzioneranno | Milena Gabanelli

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La promessa è quella di semplificarci la vita evitando di attraversare la città, o addirittura la Penisola, per un controllo da uno specialista vis-à-vis magari di 10 minuti; oppure di recarci periodicamente in ambulatorio per tenere sotto controllo il diabete piuttosto che il peso o gli sbalzi di pressione. Di telemedicina si parla tanto, ma per ora ci sono solo pochi casi, e lasciati all’iniziativa di alcuni ospedali se non di singoli professionisti. L’esempio più diffuso è la telerefertazione, che consente di fare un esame in un luogo e avere un medico che legge i risultati in un altro. Cosa vuol dire, invece, nella pratica portare la telemedicina su larga scala? Può migliorare l’assistenza la possibilità delle visite a distanza, dopo una prima visita in presenza? E in che modo? Il Pnrr ci mette 1 miliardo di euro, vediamo per fare che cosa.

Gli obiettivi

Gli obiettivi da centrare entro il settembre 2026 sono tre.
Il primo: seguire attraverso i servizi di telemonitoraggio oltre 792 mila malati cronici di diabete, patologie cardiologiche, respiratorie, oncologiche e neurologiche. Vuol dire che i pazienti potranno trasmettere a distanza parametri vitali e clinici in modo continuativo attraverso saturimetri, elettrocardiografi, bilance, termometri, monitor cardiorespiratori, spirometri, glucometri, ecc.
Il secondo: oltre 165 mila medici – in particolare 41.697 dottori di famiglia, 6.524 pediatri e 117.632 specialisti sia ospedalieri sia sul territorio –dovranno essere in grado di offrire i servizi di televisita. È la modalità con cui i medici interagiscono con il paziente in tempo reale, ma a distanza, per i controlli che seguono la diagnosi fatta invece sempre in presenza. Gli stessi saranno anche pronti a consultarsi tra loro attraverso i servizi di teleconsulto, in cui professionisti di specialità diverse potranno confrontarsi e coordinarsi.
Il terzo: oltre 144 mila infermieri e operatori delle varie professioni sanitarie, come fisioterapisti e logopedisti, dovranno svolgere prestazioni in teleassistenza. Si tratta di una videochiamata attraverso la quale viene dato supporto e guidato da remoto il corretto svolgimento di attività assistenziali a domicilio come una seduta di fisioterapia o di logopedia. Di fatto sono coinvolti tutti i protagonisti della sanità pubblica.

Immagini e referti in tempo reale

La tecnologia dovrà consentire anche la possibilità di avere sempre a disposizione in tempo reale i dati clinici e di condividere referti, immagini, audio-video e ogni altra informazione sullo stato di salute del paziente utile a curarlo al meglio. Il diktat del Pnrr è di garantire ai pazienti le prestazioni di telemedicina in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.

I vantaggi per i pazienti con una malattia cronica da tenere sotto controllo non sono banali, perché possono avere l’assistenza sanitaria direttamente a casa (…)

Come sono spesi i soldi

Ecco come stiamo spendendo i fondi del Pnrr per centrare il traguardo entro il 2026. Innanzitutto 250 milioni dei fondi messi a disposizione da Bruxelles servono per la progettazione, realizzazione e gestione della «piattaforma nazionale» che non eroga direttamente servizi di telemedicina, ma è il software che entro dicembre 2025 dovrà mettere in comunicazione il ministero della Salute con gli ospedali, e dove confluiranno i dati utili per monitorare la diffusione della telemedicina su tutto il territorio nazionale. La pubblicazione del bando di gara per le imprese che devono fornire la tecnologia è del 12 ottobre 2022. Il progetto è coordinato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che guida l’intero piano di sviluppo della telemedicina in Italia in qualità anche di Agenzia nazionale per la sanità digitale. L’appalto se l’è aggiudicato il 1° marzo 2023 la cordata di imprese formata da Engineering Ingegneria Informatica e Almaviva. La durata della concessione è di 10 anni.

Altri 527.101.620 milioni, stanziati dal ministro della Salute il 28 settembre 2023 (qui il decreto legge), servono invece alle Regioni per l’acquisto, l’utilizzo e la manutenzione dei software che dovranno in concreto offrire le prestazioni di telemedicina, e per l’acquisto di 97.357 postazioni di lavoro con Pc, monitor e portatili. I software saranno forniti per un periodo di 4 anni al costo di 221.532.946 euro (Iva inclusa e considerato lo sconto applicato) da 3 Raggruppamenti temporanei di impresa guidati da Engineering Ingegneria Informatica s.p.a., Consorzio Reply Pubblic Sector e Gpi s.p.a., che il 27 dicembre 2023 sono risultati vincitori provvisori del bando fatto per tutte le Regioni dalla Lombardia, capofila del progetto. I 3 Rti lavoreranno in parallelo dividendosi le Regioni nel tentativo di velocizzare i tempi di diffusione della telemedicina su tutto il territorio nazionale. In corso di aggiudicazione anche il bando di gara da 155.234.752 euro (Iva inclusa) dell’ottobre 2023 fatto dalla Puglia (sempre per tutte le Regioni) per le postazioni di lavoro di telemedicina. In più ad Agenas vanno altri 50 milioni per seguire l’esecuzione del programma. Quel che avanza il ministero della Salute deciderà nei prossimi mesi come spenderlo.

Perché non basta la tecnologia

Verosimilmente nel giro di un paio d’anni tutte le tecnologie necessarie saranno disponibili e in utilizzo. I vantaggi per i pazienti con una malattia cronica da tenere sotto controllo non sono banali, perché possono avere l’assistenza sanitaria direttamente a casa senza spostarsi fisicamente per consultare medici e specialisti o per monitorare il proprio stato di salute. Il Pnrr la considera una «innovazione imprescindibile». Parallelamente quel che è indispensabile, però, è un’adeguata formazione del personale sanitario, e che i pazienti siano in grado di rapportarsi ai nuovi mezzi. Andrà considerata, soprattutto per gli anziani (che sono anche i più bisognosi), una prima fase di disorientamento. Per fare decollare la telemedicina non basta avere a disposizione la tecnologia. Il suo auspicabile successo dipende dall’organizzazione del lavoro all’interno degli ospedali e dalla capacità a gestire il cambiamento. Tutte cose che di solito sono la parte più difficile.

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