Tumori: sui social un post su tre ha informazioni scorrette, ma sarebbe molto utile «sfruttarli» meglio

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di  Vera Martinella

Web e social vanno presidiati per fare corretta informazione, parlare di prevenzione, raggiungere i giovani e combattere le fake news o chi spaccia false speranze (lucrandoci)

La questione tiene, ormai, banco da tempo: i social media sono amici o nemici della nostra salute? Possono essere preziosi alleati, come internet, per diffondere informazioni comprensibili e utili a tutti (giovani e non) oppure la loro capacità di raggiungere l’intera popolazione in modo capillare favorisce la propagazione di fake news e «spacciatori di finte speranze» che ne traggono profitto? In realtà, come per molte altre cose nella vita, la verità sta nel mezzo. Il web e i social media offrono la possibilità di parlare di prevenzione e sintomi da non trascurare, di informare su malattie e terapie, raggiungendo una platea immensa e modulando il linguaggio in modo tale che possa attrarre il vasto pubblico. D’altro canto offrono anche la stessa cassa di risonanza alle notizie scorrette che corrono, in rete, più veloci che con i «vecchi» canali d’informazione.

Cattive informazioni e buoni propositi

A dare le dimensioni del problema, nel settore dell’oncologia, è un articolo uscito qualche tempo fa sul Journal of the National Cancer Institute, secondo il quale un terzo degli articoli più popolari sui social media in materia di terapie anticancro contiene informazioni scorrette. Talmente inesatte da essere pericolose per i malati perché sostengono strategie di cura che possono avere un impatto sulla qualità di vita dei malati o che, addirittura, possono diminuire le loro possibilità di sopravvivenza. Non solo: gli autori concludono che i contenuti «sbagliati» hanno più successo: attirano maggiormente l’attenzione e vengono più commentati o condivisi di quelli che si basano su informazioni rigorosamente scientifiche. «I social media sono strumenti ambigui: a pochi bit di distanza troviamo informazioni di altissimo profilo scientifico e abissi ricolmi di notizie distorte o francamente false, ma abbiamo ampi spazi di miglioramento» sottolinea Mattia Garutti, medico oncologo e nutrizionista al Centro di Riferimento Oncologico IRCCS di Aviano (in provincia di Pordenone), con quasi 30mila follower su Instagram e 38mila su YouTube. Infatti, recentemente, Garutti ha organizzato insieme a Manuelita Mazza, in forze alla Senologia Medica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano col oltre 10mila follower, il congresso «RƏvolution», dedicato proprio all’utilizzo di social media e digitalizzazione in medicina: «Salute e medicina sono al centro della trasformazione digitale e sono tra i termini più #taggati sui social media – spiega Mazza – è giunto il momento di parlarne con un linguaggio pratico trasversale, moderno e vicino a tutti».

Migliorare l’utilizzo dei social in oncologia

Quello dei social media è un mondo che cresce e si modifica velocemente, che possiamo sfruttarlo di più e meglio. Come? Garutti fornisce alcuni spunti: «Si può parlare di prevenzione oncologica con il coraggio di raccontare anche le incertezze e i vuoti di conoscenza della medicina moderna – dice -. Perché molti temi semplicemente non possono essere disegnati in modo dicotomico, ma reclamano la comprensione della complessità che sta nel mezzo. Perché non è più il tempo del paternalismo, ma oggi più che mai è l’era della consapevolezza. Perché, in fondo, solo una società che è in grado di gestire il dubbio in modo efficace ha anche la forza di risolverlo». Bisognerebbe poi fare leva sull’inclusione: «Medici, operatori sanitari, cittadini: ognuno ha un ruolo nel costruire le fondamenta culturali della società che abitiamo. Chiunque legga o veda qualcosa sui social può diventare un megafono di conoscenza… o di disinformazione. Siamo tutti responsabili». Allo stesso modo andrebbero create sinergie tra personaggi pubblici e mondo scientifico: spesso i numeri hanno bisogno di voci che li sappiano raccontare e per farlo bene è necessaria la compresenza del mondo scientifico.

Raggiungere i giovani

Altro passo fondamentale: ingaggiare i ragazzi. «I giovani di oggi sono i potenziali malati di domani – prosegue Garutti -. Dircelo non è un racconto triste, ma un’enorme opportunità. Alcuni tumori potrebbero essere dimezzati da un corretto stile di vita. Altri potrebbero addirittura scomparire o quasi (come quello della cervice uterina grazie al vaccino). Essere efficaci nei messaggi di salute pubblica con i giovani significa costruire una società basata sulla speranza e non sulla dipendenza da farmaci. E poi bisognerebbe essere gentili: la verità e i messaggi in grado di informare e aiutare non hanno bisogno di essere urlati». 

Oncologi e uso dei social media

Quanto sono presenti oncologi sui social in Italia? «Secondo la Società Europea di Oncologia Medica (Esmo), nove oncologi su dieci riconoscono ai social una funzione utile in oncologia – risponde Manuelita Mazza -. In particolare gli oncologi europei utilizzano ampiamente social come X (ex Twitter) e Linkedin per mantenere connessione con altri professionisti e opinion leader. Rispetto agli Stati Uniti, dove gli oncologi spesso curano una propria pagina social professionale, in Italia si percepisce ancora una certa diffidenza verso questo strumento. Con Bocconi abbiamo misurato la attitudine degli oncologi italiani rispetto all’uso professionale dei social media (speriamo presto di rendere pubblici i dati) e sembra che i miei colleghi li apprezzino come strumento per aggiornarsi (specie X o Linkedin), ma nutrano timori rispetto a temi quali la privacy, il tempo da dedicare o il rispetto dei confini del proprio ruolo quando il social è interattivo ed a disposizione dei pazienti. Tutti gli oncologi però sembrano molto favorevoli ai social come strumento per campagne di prevenzione (screening e stili di vita) e raggiungere ampie fette di popolazione rapidamente». Insomma, i social sono uno spazio – sempre più ingombrante – della società civile e i medici devono presidiarlo. Con le dovute precauzioni: «Quando apriamo una pagina social e parliamo come medici dobbiamo però darci delle regole, che tengano conto della opinione degli altri colleghi e delle preferenze dei cittadini e pazienti, sempre tenendo a mente il codice deontologico» sottolinea l’esperta. 

Associazioni dei pazienti

Se non esiste un censimento ufficiale che dica quanti sono gli oncologi italiani presenti sui canali social, è certo che le associazioni pazienti sono molto presenti. «In Italia se ne contano oltre 1.740 (in media una ogni 100mila abitanti, un numero molto alto, che racconta quanto davvero le associazioni di malati e caregiver riescano a far fronte a bisogni socio-assistenziali e informativi) – dice Mazza -. Molte sono sui social, spessissimo su Facebook, e hanno recepito l’importanza di lavorare in rete insieme a professionisti e sanitari e su più livelli». Anche così, grazie a raccolte di firme, campagne di sensibilizzazione e coinvolgimento di ampia parte della società, sono stati raggiunti traguardi importanti. L’ultimo, in ordine cronologico, quella legge sul diritto all’oblio che tutela i guariti da discriminazioni durate decenni 

Lotta alle fake news

Creare una comunità scientifica forte può servire a controbilanciare le fake news molto frequenti sul cancro? «La lotta alle fake news ha bisogno di attingere da acqua pulita – risponde Garutti -: la conoscenza. Ma non basta. Le informazioni rappresentano solo le fondamenta di un palazzo fatto di colonne, archi e affreschi: cioè voci, racconti e metodi comunicativi innovativi. L’obiettivo non è distruggere le case tetre della disinformazione, ma renderle inabitate attraverso la costruzione di meravigliosi luoghi alternativi dove ci sia la voglia di stare. Una comunità scientifica forte e attenta ai social e alla comunicazione è il tassello necessario per adattare la medicina a un mondo in rapidissima evoluzione». Dai social si potrebbe anche raccogliere la voce dei pazienti: il «social media listening» potrebbe consentire di esplorare l’esperienza vissuta dai malati, traendo informazioni da quello che pubblicano sulla loro qualità di vita, sulle esperienze quotidiane, sul racconto dell’esperienza di malattia. Un esperimento che ha già portato alla pubblicazione di una ricerca scientifica: «Insieme ad altri colleghi europei abbiamo abbiamo analizzato post (forum, blog e social come twitter) sul tumore al seno metastatico in 14 paesi europei tra il 2018 ed il 2020 identificando oltre 76mila “conversazioni” – racconta Mazza -. I post hanno tracciato il percorso del paziente, toccando temi che vanno dai trattamenti e farmaci al tipo di test diagnostici ed esami di rivalutazione. Sono emersi temi-chiave relativi all’efficacia (o meno) dei trattamenti, alla sopravvivenza prolungata e alla qualità della vita correlata, alle conseguenze degli effetti collaterali dei trattamenti e agli impatti finanziari e sociali. I social possono, insomma, aprirci una finestra nuova anche sull’esperienza dei malati». 

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