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Alla fine la Lega ha accelerato sul terzo mandato e ha voluto dirigersi dritta contro un muro. Ma lo schianto del Carroccio rischia di avere ripercussione anche all’interno di altri partiti, primo fra tutti il Pd, in cui l’area Bonaccini non ha preso per niente bene il voto contrario dei dem. Tornando alla Lega, il suo emendamento al decreto Elezioni per estendere a tre i mandati possibili per i presidenti di Regione è stato bocciato senza appello. Il Carroccio, in commissione Affari costituzionali del Senato, si è ritrovato da solo perché Fratelli d’Italia, Forza Italia e Udc hanno votato contro e con loro tutto il campo progressista (Pd, M5s e Verdi-Sinistra). Con i leghisti ha votato solo Italia Viva, forse per effetto di quel tic sempre più frequente di votare volentieri con pezzi di centrodestra. “Vota il Parlamento, andiamo avanti”, aveva detto alla stretta vigilia del voto il leader del Carroccio Matteo Salvini ad Agorà, su Rai 3.
L’esito del voto in Commissione – Il risultato finale è stato: 4 sì, 16 no, un astenuto (della Südtiroler Volkspartei) e un senatore che non ha partecipato (l’esponente di Azione). La norma, se fosse stata approvata, avrebbe favorito tra gli altri il presidente del Veneto Luca Zaia. “Prendo atto del voto – dice il diretto interessato – La strada è ancora molto lunga. Natura non facit saltus” (in latino “la natura non fa salti” e cioè le cose avvengono gradualmente). La presidente del Consiglio Giorgia Meloni non è minimamente interessata all’argomento: “Il terzo mandato non era inserito nel programma – dice a 5 minuti, su Rai1 – Non è iniziativa del governo, era una iniziativa parlamentare, ci sono state opinioni diverse in massima serenità” se ne è discusso ma “non è una materia che in qualche maniera crea problemi al governo o alla maggioranza”. “Fanno bene a chiedersi se ci saranno ripercussioni sulla tenuta del governo”, ha attaccato invece la segretaria del Pd Elly Schlein, che però a sua volta deve fare i conti non solo con i malumori di sindaci e governatori, ma anche con l’area che fa capo a Stefano Bonaccini, che ha espresso “disappunto” perché “è venuto meno l’impegno preso in direzione con il gruppo di lavoro“.
Cosa succede ora – Ma “non finisce qui”, come nei film d’azione. Salvini promette infatti che ripresenterà in Aula “che è sovrana e i cittadini sapranno come scegliere”. “Secondo me – insiste – è un peccato pensionare sindaci e governatori dopo due mandati, anche se sono bravissimi, apprezzatissimi e votatissimi si devono fare da parte. E’ un errore perché trovare un buon sindaco e un buon governatore di questi tempi non è facilissimo e se te lo trovano buono i cittadini, se lo vogliono rieleggere, hanno il diritto di farlo”. Il dibattito fa sì che i diretti interessati ora siano ingolositi, comprensibilmente, anche perché ora la finestra che si intravede tra le Europee e le Politiche è bella ampia: tre anni senza seggi da “pretendere” alla fine dei rispettivi mandati. L’attesa può essere estenuante. Così la Conferenza delle Regioni ha inviato una lettera al ministro per le Autonomie Roberto Calderoli per chiedere un incontro con il governo proprio sul terzo mandato.
La posizione dei sindaci – A loro ora si sono aggiunti i sindaci: “L’Anci non lascerà cadere questa battaglia, che abbiamo condotto sempre in maniera unitaria” dice il presidente Antonio Decaro, che guida il Comune di Bari. Decaro ricorda che con il decreto Elezioni è stato abolito il limite di mandati per i Comuni sotto i 5mila abitanti e si è portato a 3 il limite di mandati per i Comuni fino a 15mila. La Lega aveva inizialmente presentato un altro emendamento per prevedere tre mandati anche per i sindaci dei Comuni maggiori, quelli che hanno più di 15mila abitanti, poi l’ha ritirato dopo che il relatore del decreto, il presidente della commissione Alberto Balboni (Fdi), ha espresso parere contrario.
Il malcontento dell’area Bonaccini – Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti da una parte evoca “un contenzioso tra governo centrale e Regioni quasi infinito” perché “la Costituzione prevede che gli statuti e le leggi elettorali siano competenza esclusiva delle Regioni”. Dall’altra va all’attacco dei parlamentari: “C’è un gigantesco cortocircuito politico in una Repubblica dove i parlamentari contrari ad ulteriori mandati per governatori e sindaci talvolta siedano in Parlamento dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quindi una sorta di era geologica fa”. E il tema apre – come previsto – un fronte anche all’interno del Pd. I dem in commissione hanno votato contro la proposta della Lega. Ma fonti anonime di Energia popolare, la corrente che fa capo al presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, esprime “forte disappunto” perché “non si è salvaguardata l’unità del partito” e “ora andrà gestito anche il malcontento di sindaci e presidenti”. Tra i quali incidentalmente c’è il leader della stessa corrente.
Gli irriducibili del no – Sul primo tema una risposta arriva dall’ex presidente della Corte costituzionale (ed ex ministro del governo Prodi) Giovanni Maria Flick: “La Costituzione dice che è la legge regionale a stabilire il sistema di eleggibilità, ma nei limiti del principio fondamentale che stabilisce la legge statale. E quest’ultima oggi vieta la rielezione di un terzo mandato successivamente allo scadere del secondo, pur senza vietarlo eventualmente in seguito”. E poi c’è la questione politica sollevata, per paradosso, da destra da Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) e da sinistra da Angelo Bonelli (Verdi). “La mia personale opinione – dice Rampelli – è che non si possa trascorrere 15 anni, praticamente quasi l’intera carriera politica, in uno stesso ruolo monocratico perché questo oltre a menomare lo Stato di profili di qualità rischia di creare sul territorio assuefazione”. E aggiunge Bonelli: “Le Regioni non possono diventare enclave di potere, dominio di piccole monarchie o feudi personali al servizio di presidenti che perpetuano il loro governo per decenni. È per questo che abbiamo ritenuto fondamentale opporci al terzo mandato. Questa decisione rappresenta un passo significativo verso la promozione di un ricambio generazionale e democratico. Abbiamo il dovere di costruire un futuro in cui la partecipazione attiva e la rappresentanza diversificata siano la norma”.
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