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Il possibile effetto domino sulle riforme. La spinta per correre da soli per eleggere i governatori. A una settimana dal voto sul terzo mandato gli animi sono tesi
La Stalingrado leghista si chiama Veneto. Il paragone è bizzarro, forse, ma senza il Veneto «non esiste più Lega. E allora dovremo fare resistenza».
Quando manca una settimana al voto della Camera sulla proposta leghista di un terzo mandato per i governatori, il sentimento nei confronti degli alleati va facendosi animoso. Per Fratelli d’Italia e Forza Italia la questione infatti pare chiusa: niente terzo mandato. Luca Zaia non si potrà ricandidare. E il Veneto, come ha detto Luca De Carlo, senatore meloniano e possibile sostituto del «Doge», spetta a Fratelli d’Italia. Con un’uscita, per dirla con un leghista, che «di sicuro non gli ha spianato la strada».
L’idea non è tanto quella della guerriglia parlamentare intorno al terzo mandato: la porta in faccia degli alleati pare data per acquisita. Anche se, come dice un senatore, «vedo molto difficile che questa decisione poi non rimbalzi sull’iter del premierato
che tanto appassiona FdI». Per contro e simmetricamente, questo non agevolerebbe il percorso dell’autonomia regionale che mercoledì è approdata alla Camera. Ma il punto lo sottolinea un esponente FdI: «Si era concordato che non ci fossero emendamenti sui mandati dei presidenti». Per questo in Consiglio dei ministri la discussione del provvedimento era slittata: «Ma Salvini ha rotto il patto».
E dunque, l’idea dei leghisti è un’altra. Lo ha detto in televisione il capogruppo leghista Alberto Villanova e l’assessore regionale Roberto Marcato la vede «molto possibile» e la dice così: «Facciamo una lista della Lega. E ci scegliamo da noi chi dovrà governarci». Anche senza Zaia? Chissà… Si parla addirittura di una lista Zaia, ma certo il candidato non potrebbe essere l’attuale governatore. E infatti, c’è chi azzarda non uno ma due nomi possibili: quello del deputato e segretario veneto Alberto Stefani e quello del sindaco di Treviso Mario Conte. Ed è proprio Stefani, salviniano di ferro, che la dice così: «La storia millenaria di questa terra e della Serenissima ci insegnano che per il Veneto decidono i veneti, non decide Roma».
Eppure, Flavio Tosi, l’ex sindaco leghista di Verona oggi segretario regionale di Forza Italia, richiama alla realtà: «Io ricordo a tutti che l’anno prossimo andranno al voto nove regioni contemporaneamente. Nove regioni… la corsa solitaria di una sola è impensabile. Si rischierebbe un effetto domino». E allora? «Troveranno un accordo». Ma intanto la battaglia riverbera sulle amministrative venture: madre di tutte le battaglie Bassano del Grappa, dove i due partiti rivendicano il sindaco. Stesso discorso per Rovigo, l’unico capoluogo in gara, che in quanto tale deve essere affrontato dal tavolo nazionale. E la rissa si proietta già su Venezia, anche se Luigi Brugnaro scadrà soltanto l’anno prossimo: con FdI che pensa al «gabbiano» di laguna Raffaele Speranzon, senatore.
Resta soltanto un problema: Luca Zaia. Il presidente, che ieri era a Roma per una serie di incontri, sull’argomento non si lascia sfuggire una parola. Gli si attribuiscono diversi futuri, pure la presidenza del Coni, ma lui mantiene il refrain: «Lavoro per il Veneto». Ma la Lega vorrebbe convincerlo a un appuntamento anticipato, la candidatura alle Europee. Lui fin qui fa orecchie da mercante, ma alcuni leghisti ne sono convinti: «Lo rafforzerebbe per qualsiasi cosa volesse fare dopo». Ma c’è chi la pensa in modo opposto: «Porterebbe acqua preziosa. Ma se i risultati sono quelli di cui parlano i sondaggi, comunque si indebolirebbe. Ma la colpa se la Lega si è indebolita, di certo non è sua…».
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16 febbraio 2024 (modifica il 16 febbraio 2024 | 07:36)
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