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Soldi “buttati in mare”, che coprono “l’incapacità di governare il fenomeno”. A poche ore dal via libera definitivo del Senato arriva l’affondo della Cei che boccia in pieno l’accordo tra Italia e Albania sui migranti.
L’intesa è colonna portante della strategia definita da Giorgia Meloni e dal suo governo con l’obiettivo assai ambizioso di frenare gli arrivi, in parallelo con il nuovo rapporto con i Paesi africani che rientra sotto l’ombrello del Piano Mattei. Da declinare, è la nuova indicazione della premier ai ministri, secondo il “modello Caivano”.
A Palazzo Chigi non è passata inosservata la posizione di monsignor Gian Carlo Perego, ma dalla premier, che ha incalzato i suoi ministri a essere “operativi” e a non lasciare cadere il dialogo avviato in particolare con i paesi del Nord Africa, nemmeno un accenno all’intesa con Tirana. Né, raccontano, alle parole del presidente della Commissione per le migrazioni della Cei e di Migrantes.
A parlare è Migrantes, non la Cei, si nota ai piani alti del governo, minimizzando il duro commento alla scelta dell’esecutivo di centrodestra di aprire due Cpr in Albania investendo “673 milioni di euro in dieci anni” che – è sicuro Perego – andranno “in fumo” per “l’incapacità di costruire un sistema di accoglienza diffusa del nostro Paese, al 16° posto in Europa nell’accoglienza dei richiedenti asilo rispetto al numero degli abitanti”.
L’intesa, cui plaude la maggioranza e che ora è stata ratificata dal Parlamento, prevede la costruzione di un centro di identificazione dei migranti nell’entroterra che potrà accogliere “fino a un massimo di 3 mila” persone, più un centro più piccolo di primo approdo nel porto di Shengjin, dove far attraccare le navi italiane con le persone soccorse nel Mediterraneo. Quelle risorse, dice monsignor Perego, “potevano rigenerare non solo la vita di molte persone, ma la vita anche delle nostre comunità. Seicentosettantatré milioni di euro che avrebbero significato posti di lavoro e un indotto economico”.
A difendere la bontà dell’iniziativa dell’esecutivo arriva il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, convinto che non siano affatto “soldi buttati in mare” ma “ben spesi per affrontare la questione migratoria con un Paese che è candidato a far parte dell’Unione Europea”. Oggi tra l’altro, “c’era Blinken lì”, sottolinea il vicepremier. Mentre Fdi, per voce del presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Alberto Balboni, rilancia chiedendo a mons. Perego “prima di criticare il Parlamento italiano per le leggi che legittimamente approva, di pensare piuttosto a chiarire se risponde al vero, come si afferma in una inchiesta pubblicata da Panorama, che la Fondazione Migrantes ha veramente versato 20 mila € alla Mare Jonio, associazione guidata da Casarini, l’estimatore di Toni Negri ed indagato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Il dossier migratorio resta una spina nel fianco per la premier. Lei stessa ha ammesso più volte che i risultati finora non sono stati pari all’impegno speso. E la preoccupazione che le ondate di sbarchi possano riprendere c’è eccome, in particolare dal Sudan via Tripolitania, anche se i numeri degli ultimi mesi danno “piccoli segnali di speranza”. Come il “consistente calo degli sbarchi negli ultimi 4 mesi” che – rispetto all’analogo periodo del 2023 – registra un -41%”. “È tuttavia – avverte – una rincorsa continua”.
Per questo ora, il ragionamento che fa Meloni ai ministri, bisogna rendere “concreto” il Piano Mattei. Organizzare intanto “tavoli ministeriali per rafforzare la collaborazione” soprattutto con “Tunisia e Libia, ben consapevoli delle differenze tra Tripolitania e Cirenaica”. E andarci, andarci “tutti”, cadenzando le presenze come si è fatto proprio a Caivano, dove i ministri sono stati scaglionati e a ripetizione per far sentire la continua presenza dello Stato.
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