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Il veto sul patto di Stabilità? «Non escludo nessuna scelta. Credo si debba fare una valutazione su ciò che è meglio per l’Italia sapendo che se non si trova un accordo, torniamo ai precedenti parametri. Io farò tutto quello che posso». Giorgia Meloni in Senato, prima di volare a Bruxelles (dove è avvenuto un bilaterale con il presidente francese Macron) per il vertice sui Balcani e il Consiglio europeo, risponde a una sollecitazione del senatore a vita Mario Monti, che giudica negativamente l’attuale riforma del patto di Stabilità, sino a suggerire alla premier di porre il veto in sede europea.
Quella della premier è solo un’ipotesi, forse dettata anche da ragioni tattiche, che in queste ore dominano i negoziati sul rinnovo del Patto. È la stessa Meloni del resto, nel secondo giorno di comunicazioni al Parlamento sul Consiglio europeo, a dare una valutazione leggermente positiva dello stato delle trattative: «Siamo ancora lontani, non a un accordo definitivo, ma non posso non esprimere una punta di soddisfazione per qualche passo avanti nell’ultima bozza di intesa».
Quello che inizia oggi è un Consiglio dedicato all’allargamento a Est dell’Unione, al capitolo migrazioni (l’Italia insegue uno stanziamento significativo per la dimensione esterna del dossier), alla revisione del Bilancio europeo, ma questo non esclude che i leader non possano discutere anche del nuovo Patto di stabilità. Nel corso della giornata Meloni ha anche una conversazione telefonica con il presidente ucraino Zelensky, cui assicura «tutto il sostegno italiano, in ogni forma», mentre fonti diplomatiche italiane a Bruxelles smentiscono le indiscrezioni che vorrebbero Roma schierata con i Paesi che vogliono rallentare sull’adesione di Kiev alla Ue. Semmai, dicono nel governo, questa non deve rallentare altri ingressi, a cominciare dalla Bosnia, che il governo sostiene con decisione.
In Senato la premier parla dei lavori del Consiglio e rivendica orgoglio per la sua politica estera, «lo vedono anche molti colleghi europei, che me lo dicono: “Hai riportato l’Italia al centro delle discussioni europee”. Vi racconto una storia. Non faccio i nomi ma c’è uno di questi leader che è stato intervistato da un quotidiano, non esattamente mio amico, e ha detto questo. L’intervista non è stata pubblicata».
Poi, come il giorno precedente, si accende il dibattito quando a sorpresa Meloni torna sull’argomento Mes — mentre Salvini ribadisce «il no della Lega alla ratifica» — e torna ad accusare sbandierando il foglio di un fax inviato dalla Farnesina, firmato da Luigi Di Maio, al nostro ambasciatore a Bruxelles, nel 2021, «un giorno dopo le dimissioni di Conte», per sancire le modifiche al Mes che poi l’Italia non ha ratificato. È un momento di confusione, il presidente La Russa fatica a riportare la calma a Palazzo Madama, mentre Meloni prosegue con la sua accusa: «Il governo Conte ha dato il suo assenso alla chetichella, quando era in carica per gli affari correnti».
Conte replica in serata alla Meloni, con un video. Anche lui mostra le sue carte: «Hai detto che non siamo passati dal Parlamento e abbiamo fatto tutto con il favore delle tenebre. Non ti permettere, ecco il dibattito parlamentare e la risoluzione», di dicembre 2020. Si fa notare, a proposito, che il documento mostrato da Meloni è del 20 gennaio 2021, prima delle dimissioni di Conte da premier (anche se l’accordo viene firmato dopo le dimissioni). Poi un altro foglio: «Ecco quando eravate favorevoli al Superbonus», dice il leader M5S. E l’attacco: «Basta falsità. Decidi semplicemente se ratificare ed entrare nel club di Bruxelles o restare a quando manifestavi contro il Mes in piazza». Con il Pd il duello è sul Protocollo con l’Albania: «Anteponete gli interessi di partito a quelli della nazione», dice Meloni. «Chi ha sempre scelto gli alleati sbagliati è il governo Meloni», replica Elly Schlein.
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