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Oggi Fratelli d’Italia viaggia nei sondaggi su percentuali spesso vicine al 29%. Giorgia Meloni non vuole stravincere e non vuole creare problemi alla sua maggioranza, che ha già un equilibrio precario e di cui deve farsi carico anche per il futuro. Se la presidente del Consiglio si candidasse è messo nel conto, in base ai dati storici e all’esperienza di chi ha seguito tante elezioni europee, una sorta di booster per Fdl pari ad almeno il 2 o il 3%. Ma non è detto che alla premier superare il 30% e prendere una vagonata di preferenza convenga, rispetto a due alleati che invece, se candidati, rischierebbero entrambi di doversi confrontare, con un bottino di preferenza non soddisfacente.
à dunque un delicato incrocio di valutazioni politiche e diplomatiche quello che farà Meloni nelle prossime settimane, anche insieme ai due vicepremier. Tajani ha già detto in pubblico che lui non crede sia una buona scelta. E certamente non può scendere in campo prima del congresso di Forza Italia che si svolgerà in febbraio. In Fdl c’è chi ricama e commenta con ironia, facendo balenare il rischio che il ministro degli Esteri prenda meno voti del suo partito e vada incontro ad una stagione di turbolenze interne. Ma la decisione non è più semplice per Salvini. L’ideale sarebbe che si candidassero anche i governatori al Nord e il generale Vannacci al centro. Anche se i presidenti non sembrano smaniosi di correre in prima persona e il generale ancora non ha sciolto la riserva.
Ecco dunque i delicati equilibri di cui Meloni vuole tenere conto. Per paradosso, anche quelli dei suoi due alleati. Discorso diverso sarebbe invece se da qui a fine febbraio, o a marzo, FdI scendesse nei sondaggi sotto il 27%. Allora nei piani di Fdl si è condiviso con la premier un ragionamento in cui le ragioni di cui sopra vengono sovrastate dalla necessità di piena conferma elettorale, in sostanza della necessità di esercitare quel booster che comporta la discesa in campo della leader.
Tutto questo anche perché le Europee si svolgono con il sistema proporzionale e il carisma di un leader si misura in base alla capacità di portare preferenze al proprio partito. Da questo punto di vista Meloni ha migliori carte in mano dei suoi alleati. Se si passa invece ad immaginare il dopo voto, anche se mancano sei mesi, si rintracciano a Palazzo Chigi almeno due punti fermi: la previsione maggioritaria è che i Conservatori possano fare un’alleanza con i Popolari, almeno per la formazione della Commissione, perché la maggior parte dei 27 Stati in questo momento è di centrodestra. Questo significa buone chance di rieleggere Ursula von der Leyen. In Parlamento si vedrà e già oggi le maggioranze sono variabili e vedono spesso Ecr votare insieme a Marine Le Pen. Di sicuro non fa paura a Palazzo Chigi, anzi, la possibilità che Draghi diventi presidente del Consiglio europeo, l’Italia potrebbe sempre puntare alle deleghe del Mercato interno e della Concorrenza, messe nel mirino da Giorgia Meloni.
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