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In videoconferenza, i capi di Stato e di governo si vedranno con un’introduzione di Volodymyr Zelensky, che poi si ritirerà per lasciare che i sette – più Ursula von der Leyen e Charles Michel per l’Unione europea – si consultino fra loro.
Non sarà uno scambio semplice: arriva in uno dei momenti più duri dei due anni, con gli ucraini sotto pressione a Est, il massimo numero di soldati russi mai visto nel teatro di guerra (malgrado almeno 315 mila perdite stimate di Mosca, fra morti e feriti); soprattutto, il G7 si tiene quando i suoi stessi leader temono che la campagna elettorale di Donald Trump, incendiaria, finisca per aprire crepe nel fronte per Kiev anche all’interno di vari Paesi europei.
Malgrado il passaggio in Senato, il prolungato blocco alla Camera dei Rappresentanti del pacchetto di aiuti americani all’Ucraina – ispirato proprio da Trump – sta creando un allarme crescente. In proposito è stato esplicito di recente Robert Gates. L’ex segretario alla Difesa di George W. Bush e Barack Obama ed ex direttore della Cia con George Bush padre ha detto a Foreign Affairs : «Se non facciamo niente, senza una significativa assistenza militare agli ucraini, le forze russe finiranno con lo sfondare sul fronte orientale: è inevitabile».
Molto dipenderà dalla capacità dei democratici americani di raccogliere sostegno fra i repubblicani alla Camera dei Rappresentanti. Ma la presidenza italiana di turno capisce che anche il G7 deve dare un segnale. La videoconferenza servirà dunque per un primo giro di opinione fra alleati su un’ipotesi che, al momento, li divide: confiscare le riserve ufficiali russe congelateall’inizio della guerra e utilizzarle per il sostegno e la ricostruzione dell’Ucraina.
Negli Stati Uniti sta spingendo per la confisca delle riserve di Mosca, stimate in circa 300 miliardi di euro, l’ex segretario al Tesoro Larry Summers. Janet Yellen, attuale segretario al Tesoro, era contraria fino a qualche settimana fa ma di recente si è convinta che questa sia la strada da percorrere. Yellen ne ha parlato in un pranzo di lavoro con Christine Lagarde all’inizio di questa settimana a New York, perché le maggiori resistenze provengono proprio dalla Banca centrale europea. La presidente della Bce e i suoi colleghi nelle principali capitali dell’area euro temono che sequestrare le riserve sovrane dello Stato russo, dunque dei suoi cittadini, sarebbe una pericolosa forzatura: manca una base giuridica e un precedente del genere – pensano i banchieri centrali – minerebbe lo status dell’euro come moneta di riserva internazionale, nella quale Paesi terzi possono depositare le proprie riserve senza timori. Oggi infatti la gran parte dei fondi di Mosca si trovano in Europa, mentre la quota negli Stati Uniti, in Giappone e a Londra è residuale. Del resto la perplessità della Bce è condivisa dai principali governi dell’euro: sia Germania e Francia, sia l’Italia oggi presidente del G7.
Mario Draghi, predecessore sia di Lagarde che di Giorgia Meloni, ha idee leggermente diverse. L’ex premier è aperto alle proposte di Summers e Yellen, con cui resta in rapporti, ma immagina alcune condizioni: se gli europei confiscano le riserve russe in euro – pensa Draghi – allora anche americani, canadesi, britannici e giapponesi devono farlo per le quote (minime) denominate nelle loro valute; in questo modo nessuna moneta di riserva occidentale stabilirebbe un precedente a proprio svantaggio sulle altre. In realtà l’Italia lavora per ora a un compromesso meno ambizioso, ma in grado di mettere tutti d’accordo. I contorni non sono ancora chiari, anche se in passato si era discusso dell’uso dei proventi reinvestiti delle riserve russe depositate in Belgio (si veda il Corriere del 30 agosto scorso).
Tutto questo lavorio in realtà nasconde una preoccupazione politica che serpeggia sempre di più, perché il blocco provocato da Trump sugli aiuti americani all’Ucraina sta già favorendo Vladimir Putin. Nel G7 si teme che sia ormai solo questione di tempo, prima che le forze più tradizionalmente filorusse in Europa si sentano incoraggiate dal riemergere di Trump a far venire sempre più allo scoperto il loro scetticismo verso gli aiuti all’Ucraina. La lista è quella dei soliti noti, da Lega e 5 Stelle in Italia, a Marine Le Pen in Francia.
Anche per questo i governi europei cercano di rassicurare Kiev per quanto possibile. In questa fase Italia, Germania e Francia stanno negoziando – ciascuna in via bilaterale – garanzie di sicurezza all’Ucraina in caso di aggressioni future, del tipo di quelle già offerte da Londra. Si tratta di accordi di fatto simbolici, i quali però si sviluppano in parallelo a un retropensiero che per ora nelle capitali resta inconfessato: in cambio di tanto aiuto finanziario e militare dall’Europa, prima o poi Zelensky dovrà accettare di condividere di più la sua strategia con chi lo sostiene. L’aver appena nominato un capo dell’esercito con i genitori e un fratello in Russia come Alexander Syrsky, e un capo delle Forze di difesa territoriale come Ihor Plahuta, responsabile della feroce repressione filo-russa di piazza Maidan nel 2013, fa capire nelle capitali europee che anche all’eroico presidente ucraino può far comodo qualche consiglio in più dei suoi amici in Occidente. Di quelli veri però.
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