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«È capitato pure a me nella vita di essere identificato, non è un dato che comprime una qualche libertà personale». A dirlo è stato nella mattina di lunedì il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, in merito alla vicenda dei cittadini identificati domenica dalla Digos mentre commemoravano l’oppositore russo Alexei Navalny. Piantedosi è a Milano per sottoscrivere l’accordo tra Regione Lombardia, Agenzia Nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e Anci Lombardia, e per il seminario «Coesione Sociale e Territoriale ed ordinamento delle Autonomie Locali» cui ha partecipato anche il sindaco Beppe Sala.
«L’identificazione delle persone — ha spiegato il ministro — è una operazione che si fa normalmente nei dispositivi di sicurezza per il controllo del territorio. Il personale mi è stato riferito che non avesse piena consapevolezza», quindi di cosa stessero facendo i manifestanti e sarebbe questa la ragione per cui li hanno identificati.
Nella giornata di domenica, in corso Como, sotto la targa che ricorda la giornalista russa Anna Politkovskaya, anche lei dissidente perseguitata da Putin, una dozzina di persone si sono ritrovate per un commento di commemorazione. Ma una pattuglia di passaggio destinata a un altro servizio, si è fermata davanti al gruppo e ha chiesto i documenti. L’episodio era stato raccontato su X dal deputato del Pd Filippo Sensi che aveva annunciato «una interrogazione parlamentare a Piantedosi per chiedere conto di che Paese siamo». Dopo le parole del ministro, lo stesso Sensi ha commentato, ancora su X: «Se per il ministro identificare persone che portano un fiore per Navalny è normale, prendere documenti e generalità non comprime le libertà personali, allora il problema non sono gli agenti e l’abuso di potere in uno stato di diritto. Il problema è Piantedosi».
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