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Il mantra del ministro Carlo Nordio, e del centrodestra, è che «sequestrare un cellulare significa sequestrare una vita e non solo quella del proprietario del cellulare». Ecco allora che dopo aver incassato un primo sì alla stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni per tutelare la privacy dei non indagati, arriva anche la stretta sui sequestri degli smartphone: servirà il vaglio di un giudice per autorizzarlo, come per le intercettazioni, secondo quanto prevede un emendamento della maggioranza presentato in Senato, firmato Sergio Rastrelli, al disegno di legge di riforma del sequestro degli smartphone, del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin. Un passaggio che secondo il Partito democratico potrebbe mettere a rischio le inchieste, per questo è stato chiesto un approfondimento, chiamando esperti e magistrati in audizione in commissione. Mentre l’Anm si dice preoccupata dai dubbi del ministro: «Mi preoccupano le parole che ho sentito in queste ore, in particolare il modo in cui viene rappresentata la figura del pubblico ministero. L’attenzione rispetto ai dati sensibili e personali è assolutamente comprensibile e legittima, non lo è invece tracciare un solco per privare la figura del pm delle garanzie di indipendenza e autonomia», dice la vicepresidente Anm, Alessandra Maddalena, contattata da LaPresse. La ratio, dice Rastrelli, è «anticipare il controllo giurisdizionale di un giudice terzo sia nel momento della apprensione materiale dei dispositivi, sia all’atto dell’accesso fisico ai dati in essi contenuti», partendo dal principio che «un accesso indiscriminato, senza adeguati e proporzionali controlli, può risultare devastante”.
«Il giudice per le indagini preliminari, a richiesta del pubblico ministero – viene ora previsto con l’emendamento Rastrelli-Nordio – dispone con decreto motivato il sequestro di dispositivi e sistemi informatici o telematici, o di memorie digitali». Il testo originario di Zanettin prevedeva che il sequestro restasse in capo al pm. Nell’interlocuzione con maggioranza e ministero si è deciso di inserire quella che tecnicamente si definisce «finestra di giurisdizione», con il vaglio preventivo del gip, visto – viene sottolineato da fonti di maggioranza che il sequestro di uno smartphone non è un documento ma è assimilabile alle intercettazioni. Quando non è possibile, «per la situazione di urgenza», attendere il provvedimento del giudice, «il sequestro – si legge ancora nell’emendamento – è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero», la polizia giudiziaria «nelle quarantotto ore successive», trasmettono il verbale al pubblico ministero e questi richiede al giudice la convalida. C’è allarme, viene sottolineato dai dem, rispetto all’impatto della norma su indagini particolarmente delicate, a cominciare da quelle per mafia. Per Avs, «rischia di burocratizzare e allungare i tempi in maniera eccessiva la procedura con l’ulteriore rischio che sequestrare un telefonino potrebbe diventare più difficile». Il M5s, con la capogruppo in commissione Giustizia al Senato Ada Lopreiato intravede «il problema principale della anticipazione della discovery che compromette inevitabilmente la segretezza delle indagini». É stata la Consulta, con la decisione sul caso Open sulle mail di Matteo Renzi, «ad equiparare il sequestro del contenuto di smartphone e digital devices alle intercettazioni, imponendo analoghe garanzie giurisdizionali», sottolinea il forzista Zanettin, che aggiunge «mi riservo di studiare il testo, per proporre eventualmente ulteriori modifiche a tutela dei terzi, in chiave garantista».
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