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Aveva sempre rifiutato di indossare la mascherina chirurgica in spregio al protocollo aziendale che ne prevedeva l’utilizzo per motivi di sicurezza e per questo era stata licenziata dopo una serie di richiami e sanzioni sempre più pesanti.
Protagonista una dipendente del gruppo veneziano della grande distribuzione Pam Spa che lavorava in un supermercato a Villorba (Tv) e che aveva impugnato il licenziamento per illegittimità e chiedendo danni e arretrati. Il giudice del lavoro di Venezia, Chiara Coppetta Calzavara, ha però rigettato l’impugnazione, considerando corretto il provvedimento aziendale e ritenendo invece provocatoria la condotta della ex dipendente.
Rifiuta di indossare la mascherina
Si tratta quasi certamente della prima sentenza di questo tipo in Italia, per il fatto che oggetto della contestazione non erano tanto i famigerati Dpcm quanto il protocollo aziendale applicato anche dopo la fine dell’obbligo di legge sull’utilizzo delle mascherine.
PROTOCOLLO AZIENDALE
La vicenda si svolge dopo la fine dello stato di emergenza, con la cessazione dell’obbligo di legge di indossare le mascherine.
La donna in questione, che lavorava in azienda da quasi un ventennio si sarebbe sempre rifiutata di portare la mascherina nonostante i ripetuti inviti della direzione. Ma non solo: posta di fronte alla scelta di abbandonare il servizio se fosse rimasta senza dispositivi di protezione, lei si sarebbe sempre rifiutata di uscire.
INSUBORDINAZIONE
Insomma, ripetuti episodi di insubordinazione che hanno portato in tre mesi ad una lunga serie di sanzioni a intensità crescente dal biasimo fino alla sospensione di 10 giorni.
In un caso avrebbe addirittura fatto arrivare un gruppo di persone, evidentemente conoscenti, che avevano filmato dipendenti e clienti del supermercato e lei stessa aveva registrato conversazioni e filmato colleghi. Tutto questo ha portato al licenziamento.
Di fronte al ricorso presentato dalla dipendente (assistita dall’avvocato Ignazio Ardito) l’azienda si è costituita con gli avvocati Mario Scopinich e Alberto Checchetto.
Per il giudice, mentre “la scelta del datore di lavoro è proporzionata e risponde al criterio di precauzione”, dalla parte della ex dipendente “il rifiuto si è caratterizzato per una provocatoria pervicacia che si è manifestata nel volere rimanere presente senza mascherina pur sapendo di non poter lavorare, nel riprendere gli altri colleghi e nell’aver convocato un gruppo di conoscenti che hanno creato scompiglio riprendendo lavoratori e clienti”.
Insomma, il giudice non ha ritenuto che l’azienda “abbia adottato un atteggiamento persecutorio o discriminatorio” nei confronti della donna e pertanto “la massima sanzione espulsiva appare proporzionata alla reiterazione dell’inadempimento”.
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