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In Italia, alcuni alimenti continuano ad essere consumati troppo poco: frutta, verdura e legumi, veri e propri “sorvegliati speciali” che i ricercatori devono monitorare nel tempo. In particolare, la quantità media di frutta consumata ogni giorno è 166 g/die, di verdura è 147 g/die e di legumi è 9 g/die, inferiore rispetto ai dati rilevati nell’indagine precedente INRAN SCAI 2005-2006. L’apporto energetico medio della popolazione dai 3 ai 74 anni è di 1933 kcal/die derivanti per il 15% da proteine (5% di origine vegetale e 10% di origine animale), per il 42% da carboidrati e per il 34% dai grassi. È quanto emerge dalla Indagine sui consumi alimentari presentata dal Crea in occasione della VI giornata della nutrizione. Quest’anno le indagini realizzate partono dalle reali inclinazioni degli italiani nella scelta degli alimenti. Il CREA, con il suo centro di ricerca Alimenti e Nutrizione realizza da 40 anni, con cadenza decennale, indagini nazionali sui consumi alimentari che consentono di quantificare il consumo giornaliero di tutti gli alimenti e le bevande assunte dal singolo individuo. Si tratta di dati unici nel panorama italiano che comprendono anche analisi delle caratteristiche nutrizionali e del rapporto tra alimentazione e salute, stile di vita. I dati elaborati vengono utilizzati per la formulazione delle Linee Guida per una sana alimentazione italiana e dei Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed Energia per la Popolazione Italiana.
La sfida, attraverso la raccolta, l’analisi e la diffusione dei dati sui consumi degli italiani, di educare e indirizzare i consumatori verso un’alimentazione più sana, consapevole e rispettosa dell’ambiente. È questo l’obiettivo che “Nutriformarsi” persegue da anni.
La ricerca Crea è condotta seguendo le linee guida stabilite dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) nell’ambito del programma Eu Menu che coinvolge ben 21 Paesi. Si tratta di analisi condotte con metodologie che, negli anni, sono diventate sempre più mirate; i dati sono raccolti analizzando fasce sempre più larghe di popolazione, compresi i bambini molto piccoli, inizialmente esclusi dalle indagini.
“I consumi alimentari sono la vera chiave di volta per poter formulare qualsiasi politica agroalimentare”, spiega il professor Mario Pezzotti, Commissario straordinario del Crea.
Francesco Cubedda, primo ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità ha sottolineato come l’impatto dell’uso dei dati nella salute sia fondamentale. “Il Dipartimento Sicurezza alimentare e nutrizione dell’ISS li utilizza su base quotidiana, in primis per valutazioni sulle concentrazioni di nutrienti e di contaminanti negli alimenti” ha sottolineato.
Ma i dati sono necessari anche per fornire informazioni sui nuovi cibi che stanno prendendo piede nella nostra cultura e su cui mancano dati precisi. Un esempio è quello dei cosiddetti “novel food“, nuovi alimenti su cui spesso la difficoltà è fare una valutazione perché mancano ancora gli studi.
“L’utilizzo del dato, in sinergia con i ricercatori, ci ha aiutato a correggere comportamenti nelle coltivazioni, per esempio abbattendo il consumo di acqua. Ci permette di monitorare il reale andamento dei consumi e di arginare eventuali speculazioni sui prezzi. Ci supporta nell’analisi della filiera per programmare la produzione primaria nei prossimi anni”, ha sottolineato Ettore Prandini, presidente Coldiretti.
I dati scientifici non sono però gli unici a essere importanti per capire le abitudini alimentari degli italiani, anche l’aspetto psicologico ricopre un ruolo sempre maggiore. Oggi il consumatore non è solo l’utente finale di una filiera, ma va considerato già nelle fasi iniziali della filiera alimentare. Intervenire e modificare il comportamento del consumatore è una delle principali sfide dell’alimentazione. La psicologia è una delle discipline che può aiutare a capire perché a volte si adottino determinate abitudini alimentari, anche se nocive, o perché l’umore negativo ci spinga a cercare il “comfort food“.
A guidare le scelte alimentari, secondo lo studio esposto da Graffigna, sono diversi fattori: l’effetto “Framing”, ossia le informazioni che ci arrivano sul prodotto anche attraverso il confezionamento. Il “Food involvement”, l’approccio emozionale che abbiamo con il cibo e l’attenzione alla salute nel mangiare (“Health engagement”). Ecco allora – spiega ancora Graffigna – che molti investono tanto sul cibo per un bilancio emozionale; per altri mangiare alcune cose è un modo di affermare la realizzazione personale; c’è poi chi cerca affermazione sociale, o ancora socialità.
Scopriamo per esempio che il vino è consumato soprattutto da chi ha velleità di autoaffermazione, sia sociale che personale, o che dietro alla scelta di consumi Bio c’è una volontà di autoaffermazione. Interessante anche il fatto, emerso dallo studio presentato dalla psicologa dei consumi, che Il salato viene percepito come più salutare rispetto al dolce, o che i prodotti “senza” (lattosio, glutine, olio di palma, ecc.) hanno un forte impatto sul consumatore che li percepisce di qualità maggiore.
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