«Cerco casa a Budapest, spero nei domiciliari. In cella 23 ore al giorno e la cena non è prevista. Le catene? Normalità qui»

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Questa è una situazione in cui è necessario essere forti» dice Ilaria Salis nella sala colloqui del carcere di massima sicurezza Gyorskocsi Ucta, a Budapest, dove è rinchiusa. Mantiene un tono pacato, la voce a tratti trema, ma non è abbattuta. Resiste. Dall’11 febbraio 2023 è detenuta in Ungheria. Le immagini di quando è stata portata in tribunale, incatenata mani e piedi, hanno indignato tutti gli italiani. Ha 39 anni, è maestra elementare in una scuola di Milano ed è accusata di lesioni aggravate ai danni di alcuni neonazisti.

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LA SPERANZA DEI DOMICILIARI

A più di un anno dall’arresto, dopo una detenzione in condizioni definite umilianti dal padre («spogliata, in cella senza carta igienica, sapone e assorbenti per lungo tempo, con i letti infestati dalle cimici») ora racconta: «Da quando in Italia si è parlato della mia storia, il mio trattamento in carcere è migliorato». Jeans, t-shirt a fiori e maglione rosa, ieri pomeriggio per un’ora ha potuto parlare con l’onorevole Paolo Ciani, segretario di Demos e vice capogruppo di Pd-Idp alla Camera, da anni impegnato per i diritti dei detenuti, che è andato a farle visita in carcere. Quando Ciani entra nello stanzone dei colloqui, si siede davanti a un tavolino, mentre Ilaria, senza manette, successivamente viene portata dalle guardie e si posiziona nel tavolino di fronte. C’è un vetro a dividerli, inizialmente il colloquio avviene senza ricorrere al telefono, poi però entrano anche altri detenuti e i loro familiari per i vari colloqui. C’è brusio, la voce non basta e si fa ricorso alle cornette. Con Ciani c’erano anche l’ambasciatore italiano e l’addetto dell’Ambasciata ma poco dopo il colloquio è proseguito con un faccia a faccia tra il parlamentare e Ilaria Salis che si è presentata con un foglio scritto fitto sui due lati perché non voleva dimenticarsi nulla. «Spero di ottenere gli arresti domiciliari anche qui a Budapest – è il succo delle sue frasi – perché possa essere una tappa che mi consenta di essere trasferita in Italia».

NON SCAPPO

È pacata, la rabbia non traspare. «Non penso sia giusto chiamare in causa il pericolo di fuga – assicura -, perché sono una persona con una famiglia, un compagno, un lavoro. Non ho intenzione di scappare». C’è una preoccupazione che nessuno nasconde visto il clima che si è creato a Budapest: il processo sarà realmente equo? «Mi hanno detto – confida all’onorevole Ciani – che qui vicino è comparso un murales che mi ha molto colpito negativamente. Spero qui si possa avere un processo giusto». L’immagine la ritraeva impiccata, a testa in giù. Non esattamente ciò che vorresti vedere in un Paese in cui da oltre un anno sei rinchiusa in carcere senza che il procedimento giudiziario sia ancora concluso. «Per fortuna da quando l’Italia si sta mobilitando, il trattamento qui è meno pesante. Ad esempio hanno aggiustato una finestra della cella». Certo, il regime carcerario è molto duro.

SENZA CENA

«Si resta in cella per 23 ore, l’ora d’aria è davvero solo una. Sono in una cella con otto letti a castello, insieme ad altre sette detenute, sei sono ungheresi e una croata. Non ho avuto particolari problemi con loro. Al mattino per colazione ci danno dei salumi, abbiamo anche il pranzo, ma alla sera non è prevista la cena». Chi se lo può permettere, acquista dei generi alimentari, ma non è concesso cucinare, per cui di sera mangiano solo cose crude. «Le catene? Purtroppo questa procedura qui è la normalità». Nella cella ci sono una latrina e un lavabo, mentre le docce sono in comune. Ilaria appare provata, anche se mantiene forza e caparbietà, però un anno di carcere si sta facendo sentire. «Non si lasci vincere dallo sconforto» le dice Ciani prima di andarsene. «Sì, lo so – risponde Ilaria Salis – in questa fase è necessario restare forti». Il vetro che separa i due tavolini non arriva al soffitto, Ilaria e Ciani si possono stringere la mano e accennare un abbraccio.

NON DIMENTICATEMI

«Onorevole, restiamo in contatto» aggiunge Ilaria, che è un modo per dire: non dimenticatevi di me. «Un parlamentare – sospira Ciani – rappresenta tutto il Paese, sono qui per confermare la vicinanza istituzionale a Ilaria Salis». Quando finisce il colloquio, Ilaria è di nuovo inghiottita dal grande carcere ungherese e torna nella cella con le altre sette detenute, il letto a castello, il lavabo, la cena che non viene servita, la speranza di rivedere la sua famiglia e l’Italia. «I genitori hanno potuto incontrarla solo dopo sette mesi dall’arresto» racconta Ciani che poi parla al telefono con Roberto Salis, padre di Ilaria. Ieri è andato in alcune agenzie immobiliari di Budapest, sta cercando un appartamento da affittare dove possa abitare la figlia se le saranno concessi gli arresti domiciliari. Oggi incontrerà Ilaria. Ha scritto su Facebook: «Faremo visita al carcere dove è detenuta, che fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale era usato dalla Gestapo per la detenzione dei prigionieri politici. Io onestamente dopo questa visita non ci terrei tanto a ritornare in questo luogo». Sottinteso: speriamo che Ilaria possa aspettare la conclusione del processo ai domiciliari.
 

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