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La cannabis è una delle droghe più consumate e vendute del mondo, ma è anche tra le più antiche, visto che il suo consumo viene già descritto da alcune fonti classiche, risalenti a circa 2800 anni fa.
Erodoto, il famoso storico greco – noto anche per aver diffuso diverse fandonie e miti antichi nei suoi testi – scrisse che tale pianta cominciò ad essere commercializzata dall’Oriente in tutto il Mediterraneo a partire dal V secolo a.C. Per quanto descrisse bene il suo commercio, Erodoto tuttavia non aveva bene in mente quali fossero i suoi effetti e come il suo consumo potesse provocare delle gravi conseguenze nel nostro metabolismo.
Da allora, grandi passi in avanti sono stati compiuti dalla scienza, che ha approfondito meglio quali sono le sue proprietà. La cannabis è stata ampiamente studiata e selezionata, tanto da essere divenuta una dei principali farmaci per la terapia del dolore. Una informazione molto importante tuttavia manca ancora agli scienziati, che può fare la differenza nella ricerca medica: quanto durano gli effetti dei suoi principi attivi?
“Se si domandano a 100 pazienti quanto durano, probabilmente riceverai 100 risposte diverse” chiariscono gli autori di uno studio, pubblicato nel 2021 da Neuroscience & Biobehavioral Reviews. Questo perché ogni persona è differente dagli altri e i recettori dei cannabinoidi lavorano in maniera leggermente differente, a secondo dei propri geni.
I più famosi cannabinoidi sono il THC e il CBD, che già da precedenti ricerche sappiamo rimanere all’interno del nostro organismo anche per molto tempo dopo l’assunzione, tanto che è stato possibile individuarli in alcuni cadaveri di 300 anni d’età. C’è però di più.
Secondo lo studio del 2021, realizzato da un team di scienziati australiani dell’Università di Sidney, queste molecole permarrebbero slegati all’interno del nostro corpo per diverse ore, smettendo di legarsi invece ai nostri recettori anche dopo alcuni giorni. Questa è una notizia molto importante, perché se da una parte ci permette di immaginare un futuro in cui gli antidolorifici saranno ancora più efficienti per le terapie del dolore, dall’altra gli scienziati hanno compreso che con questa scoperta le legislazioni attuali devono essere riviste, visto che i cannabinoidi introdotti nel nostro corpo possono nascondervisi a lungo.
“I nostri quadri giuridici probabilmente devono adeguarsi alla nostra scoperta, visto che perseguire un uomo esclusivamente sulla base della presenza di THC nel sangue o nella saliva è ingiusto ” chiariscono gli autori dello studio. Queste persone possono infatti aver assunto marijuana giorni prima, per poi risultare positivi a dei test che non tengono conto né dell’accumulo di THC nel sangue né al suo tempo fisiologico di smaltimento.
Tra l’altro, gli scienziati australiani nel loro articolo tengono a sottolineare che per quanto il THC si concentri nel sangue “la durata della sua permanenza e dei suoi effetti dipendono principalmente da tre fattori: da quanto è forte la dose di THC assunta, dalle modalità di assunzione (se viene inalata o assunta per via orale sotto forma di cibo, capsule o gocce) e dalla tipologia di persona che abbiamo di fronte, ovvero se si tratta di un consumatore occasionale o regolare”.
Il deterioramento della THC e della CBD inoltre può essere anche abbastanza lungo e raggiungere le 10 ore, nei consumatori regolari o in coloro che hanno assunto la cannabis per via orale.
Per comprendere meglio la responsività dei soggetti che assumono la cannabis, i ricercatori hanno quindi svolto alcuni test, i cui risultati suggeriscono che la maggior parte delle abilità legate alla guida potrebbero ritornare entro cinque ore dalla sua inalazione. Un vero cambio di paradigma, per le ricerche collegate all’uso delle droghe.
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